Convegno Padova - 29 Novembre 2014

Da Rete Comitati Veneto.
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Comitati, associazioni e organizzazioni per l’ambiente in assemblea per "mettere a fuoco una serie di no per non continuare a distruggere l’ambiente e una serie di sì per indicare orientamenti, obiettivi e proposte valide per tutti per conservare, custodire e valorizzare l’ambiente. Per offrire a tutte le persone la possibilità reale di poter fare riferimento a comitati, gruppi, organizzazioni per conoscere, documentarsi e perché tutte le forze politiche siano interpellate e impegnate da una pressione forte di una società sempre più consapevole".


Quando e dove

Sabato 29 Novembre 2014 ore 9.00 - 18.00 Patronato della Parrocchia di S. Carlo - Arcella. Via P.G. Guarneri 22 - Padova


Programma

Ore 9.30 [Convegno Padova - 29 Novembre 2014#Introduzione - Don Albino Bizzotto|Introduzione - Don Albino_Bizzotto]

Ore 10.00 Presentazione di temi relativi al Veneto: I No (cose da impedire/modificare) e i Si(proposte)

Terra – Urbanistica e consumo di suolo – Luisa Calimani

Terra – Agricoltura – Franco Zecchinato

Mobilità – Opere sbagliate e proposte alternative - Maria Rosa Vittadini

Acqua – Acqua potabile e uso energetico - Lucia Ruffato

Società - Chiusa o aperta – Nicoletta Regonati

Aria – Industrie e inquinamenti – Franco Rigosi

Aria – Salute e Ambiente – Andrea Zanoni

Terra – Risorse e Rifiuti – Michele Boato

Energia - Gianni Tamino


Ore 12.00 inizio discussione in 4 Gruppi tematici

Terra - facilitatore Carlo Costantini

Acqua – facilitatore Vincenzo Pellegrino

Aria - facilitatrice Katia Bortolozzo

Energia – facilitatore Paolo Cacciari

Ore 13.30 Pranzo

Ore 14.30 Gruppi tematici

Ore 16.00 Assemblea finale introdotta dalle sintesi delle osservazioni e proposte dei 4 Gruppi a cura dei facilitatori e verbalizzatori (8 minuti max per gruppo)

Ore 16.30 interventi sulle proposte finali (3 minuti max per intervento)

Ore 17.00 circa decisioni dell’Assemblea sul Documento finale (analisi, critiche e proposte)


Sabato 20 dicembre ore 15 a Padova c/o Beati riunione organizzativa di definizione delle iniziative successive (divulgazione del documento, confronti con vari soggetti sociali e politici veneti) a partire da un incontro pubblico con i mezzi d’informazione sabato 10 gennaio 2015 ore 11 a Padova.

Partecipanti

(comitati, associazioni, gruppi, movimenti, istituzioni)

Coordinamento difesa colli Euganei / Gruppo Amici del Verde
Abc Brenta e Alta Padovana; Comitato Cà Brenta di Campo San Martino
acqua bene comune
ACU
AIAB VENETO onlus
Altra Europa con Tsiprass
ambiente e salute del vittoriese
amicoalbero
anima critica
Appiedati al Via / Esperia
aria nova
ass decrescita / ACS
ass salvaguardi idraulica
Ass. 'La Vespa' Battaglia T.
ass.L'altra Verona per i beni comuni
Ass.ne Decrescita nodo-nord est
Assemblea Permanente Rischio Chimico
asso pace
Associazione "Civiltà del Verde"
associazione studenti universitari
ASSOCIAZIONE VALPOLICELLA 2000 E a nome coordinamento di 23 associazioni della Valle
asu
beati costruttori
cgil filt
Città Amica / Villa Draghi
Cittadini/e di Montecchio Maggiore contrari alla Pedemontana
col/dei roro
com ambiente salute vittoriese
Comitato A + BC / Salviamo il paesaggio - Bassa Veronese
Comitato allagati di Favaro Veneto
comitato altro lido
Comitato Ambiente e Sviluppo Cavarzere /comitati polesani-basso veronesi Nogara-Mare
comitato commenda est
Comitato contro il Traforo
Comitato Difesa Alberi e Territorio, PD
Comitato Diritto alla Città Comitato Ambiente Polesine Delta Po  
comitato lasciateci respirare
Comitato NO gassificatore di Cassola
Comitato prov. 2 Si Acqua Bene Comune
comitato veronese acqua e beni comuni
Consulta per l'ambiente Rosa'
coordinamento comitati vicenza
Coordinamento Tutela Territorio Breganze
covepa
ecoistituto del veneto Alex Langer
el Tamiso / aiab Veneto
Forum Ambiente SEL Verona
gaia
giovani entomologi
Gruppo Etico Territoriale "El morar"
gruppo vegan
ics curtarolo e campo san martino
ISDE e WWF Colli
italia nostra, ambiente venezia, no grandi navi
LaBiolca
La Salsola,  Campalto-Venezia
LAV
Legambiente Circolo l'ARCA DI NOE' di Piove di Sacco
Legambiente Riviera del Brenta
limena attiva e democratica
LIPU - Venezia
m5s
mira 2030
mountain wilderness
Movimento dei Consumatori
NO GASSIOFICATORE CASSOLA
no inceneritore mogliano // ass. seminati marcon
no traforo
NoaleAmbiente
OUT_Osservatorio Urbano Territoriale di Vicenza
padova 2020
paesaggio veneto
paese ambiente
pastorale nuovi stili di vita
peraltrestrade dolomiti
pesticidi no grazie
Rete solidale camisanese e del camiGAS
rete solidale camisano
rovigo bene comune
Salviamo il paesaggio Castelfranco
salviamo il paesaggio treviso
scuola beni comuni santorso
SEL
Spigas Associazione di Promozione Sociale
ungas
VILLA DRAGHI
Wigwam Gruppo Acqua Territorio
WWF e Libera
ZeroEnergy

Introduzione - Don Albino Bizzotto

Grazie vivissime a tutti voi, non solo perché ci troviamo qui a condividere un percorso che riteniamo necessario, ma anche perché desidero esprimere una forte riconoscenza per lo specifico impegno di ognuno per le lotte che sta portando avanti.

Una breve premessa. Siamo qui perché siamo dentro a un’emergenza globale e a un’emergenza locale riguardo al rapporto personale e collettivo con la Terra.

Tutti siamo impegnati nel nostro quotidiano secondo le specificità di ogni comitato, ma apparteniamo anche a un impegno collettivo, che ci lega con quanti nel mondo lavorano per il rispetto e la cura del pianeta e per la convivenza di tutti, singoli e popoli, con il riconoscimento della dignità e della giustizia per ogni persona.

Il nostro incontro non è per arrivare a un documento da distribuire e basta, ma attivare una serie di percorsi per approfondire la nostra conoscenza e coscienza della realtà e per sentirci coinvolti con tutti, nella forma più trasversale possibile.

Perché mai come oggi la salvezza, ripeto salvezza, nostra e del futuro è legata al comportamento quotidiano della gran massa della popolazione mondiale.

Non abbiamo alternative alla fiducia e al coinvolgimento con tutte le persone disponibili, perché la realtà scavalca anche la nostra fantasia.

È doveroso, sacrosanto portare avanti con determinazione le nostre lotte, ma in collegamento e per affrontare tutta la realtà che riguarda tutti. Probabilmente, per alcune persone prevenute sulle nostre appartenenze politiche, allargare l’orizzonte sulle emergenze drammatiche del pianeta potrebbe diventare una risorsa in più.

C’è il rischio per tutti in questo momento di essere bloccati, direi ipnotizzati, dal peso e dalla paura della crisi, sempre più attorcigliata su se stessa, dalla quale si pretende di uscire ancora con la stessa crescita distruttiva che l’ha procurata. Con questo non voglio dire che questa è l’unica strada e che altre forme di impegno politico non siano importanti. In questi giorni ho cercato di aggiornarmi su alcuni problemi del Pianeta riguardo ai cambiamenti climatici, l’aumento lineare dell’anidride carbonica, il riscaldamento globale, l’acidificazione e l’inquinamento degli oceani con veri e propri arcipelaghi compatti di rifiuti, in particolare plastica.

Acqua, aria, cibo: è tutto ad altissimo rischio globale e in tempi molto più brevi del previsto. Ho cercato i dati dai risultati delle ricerche fatte dalle grandi agenzie internazionali:

IPCC (Gruppo intergovernativo per i cambiamenti climatici - 772 scienziati )

WMO (Organizzazione mondiale della metereologia)

PNUA (Programma Nazioni Unite per l’Ambiente)

IPSO (Programma internazionale sullo stato degli oceani).

Siamo davanti a un’ora X di irreversibilità, una vera e propria mutazione di era geologica. Gli scienziati non riescono a capacitarsi perché governi ed enti locali non prestino attenzione e non si preoccupino per la gravissima situazione in cui versa la Terra. Per questo vi prego di leggere con molta attenzione il contributo di David Molineaux, che ho trovato su Adista, perché pone il vero problema per tutti: la Terra da strumento dell’iniziativa, della tecnologia e della padronanza assoluta dell’uomo a Terra fine principale di tutta l’attività umana per garantire vita e futuro. È una rivoluzione radicale che viene richiesta : “La Terra è primaria per la vita. Tutto ciò che è umano, nonostante tutta la sua nobiltà e trascendenza, è un derivato”. Vuol dire che per agire prima di tutto devo sempre chiedermi che ne viene alla Terra, perché possa espletare la sua funzione rispetto alla vita di tutti gli esseri e rispetto agli equilibri delle relazioni tra i vari elementi. Anche per noi non sarà un cambio automatico né poco impegnativo.

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Terra – Urbanistica e consumo di suolo – Luisa Calimani

  • Il problema non è il cielo, è la terra
  • La recente forte crescita di suolo consumato (meno di venti anni fa, l'ingombro era pari alla metà), di 8 mq al secondo, con la conseguente impermeabilizzazione dei terreni, ovvero l'impossibilità della terra di assorbire l'acqua piovana, ha comportato distruzione di sistemi idrogeologici, dissesti, perdita di paesaggio - abnorme quota di volumi, spesso vuoti, edificati nella "città diffusa" italiana, e in particolare nel sistema agropolitano veneto
  • I dati forniti dall'Istat, sono impressionanti. Oggi il numero degli edifici presenti sul territorio nazionale è pari a circa 14,5 milioni, 18 miliardi di metri cubi edificati, di cui 15,5 miliardi (84,3%) residenziali; laddove il fabbisogno nazionale è di 6,2 miliardi di metri cubi (siamo quasi 62 milioni di persone e il rapporto convenzionale è di 100 mc/abitante).IL TRIPLO DEL NECESSARIO. Eppure si costruisce ancora, con la mistificante ideologia che il cemento sia motore di sviluppo.Ma altro che motore dell'economia: la cementificazione, con l’immissione in atmosfera di 21 milioni di tonnellate di CO2 è costata in tre anni 130 milioni di Euro
  • Il Veneto ha con la Lombardia il “primato nazionale” della copertura di suolo.Negli ultimi 40 anni il Veneto ha perso il 18 per cento della superficie coltivata, una perdita di 1800 chilometri quadrati dovuta all’urbanizzazione, alla realizzazione di infrastrutture e all’abbandono di pascoli e campi. E le province di Padova e di Treviso sono tra le 10 più cementificate d'Italia, rispettivamente con il 23% e il 19% del proprio territorio occupato da superfici edificate (contro una media italiana del 6,7%).
  • I dati del censimento mostrano che gliappartamenti inutilizzati sono più di sette milioni: L'aumento degli immobili vuoti è stato nel decennio pari al 350%. Nel Veneto 2013 dai dati ISTAT risultano 400.000 case vuote, il 17% sul totale di 2,3 milioni di abitazioni.
  • Eppure si costruisce ancora, nonostante il “vuoto”, il forte calo dei prezzi e delle compravendite, segni di un mercato saturo.
  • Il rapporto fra dissesto idrogeologico e consumo di suolo è sempre più evidente e preoccupante. Piogge, anche non eccezionali, mandano sott'acqua interi quartieri. Si allagano strade, garage, primi piani di negozi e abitazioni. La popolazione esasperata chiede ascolto e ha il diritto di incidere sulle scelte che riguardano il proprio territorio. Da troppo tempo democrazia diretta e democrazia rappresentativa sono in conflitto.
  • I molti interventi locali, ai quali si dà poco peso, concorrono alla perpetrazione del danno contro l'ambiente. Questo impone a chi governa di dare ascolto alla gente quando si oppone a scelte urbanistiche scellerate, le cui devastanti conseguenze ricadono sugli stessi incolpevoli cittadini. I motivi che le inducono sono quasi sempre in conflitto col pubblico interesse ma molto legate agli interessi privati anche personali.
  • La crisi ha fatto perdere nell'anno 2014, 61000 addetti nel settore delle costruzioni. In Italia, Portogallo, Romania, la crisi è più profonda del resto d'Europa perchè si è costruito troppo, tre volte più del necessario. I sindacati hanno manifestato contro Governo e Regione, per rivendicare il rilancio del settore. Ma nostante questi dati e i 50.000 posti di lavoro e le 17000 aziende di costruzione persi nel Veneto dal 2008, chiedono che questo si realizzi attraverso la rigenerazione dell'edilizia esistente, senza consumo di suolo
  • Solo lapianificazione lo può frenare, quindi in tutti i Comuni del Veneto si devono apportare VARIANTI ai PRG o PAT che eliminino tutte le residue capacità edificatorie in aree libere. E' necessaria un'inversione di rotta dell'urbanistica tradizionale che oggi si pratica come nel passato senza la percezione delle avvenute profonde trasformazioni, dei pericoli incombenti e dei danni che ha finora provocato. Il Piano è stato spesso lo strumento che ha legalizzato la speculazione edilizia. L'urbanistica ha grandi colpe. Non solo non ha saputo anticipare l'evoluzione dei fenomeni, ma non è riuscita neppure a stare al passo con epocali trasformazioni, i cambiamenti climatici, l'inquinamento, le esondazioni, le migrazioni. Dovrebbe fare un mea culpa per i disastri ambientali prodotti e per le sovversive teorie neoliberiste, elaborate e diffuse. Università, INU, saperi esperti, si sono spesso prostrati agli enormi interessi che stanno alla base della privatizzazione della città, contaminati come i partiti, anche di sinistra, dalla cultura liberista priva di antagonisti. NON BASTA cambiare gli strumenti della pianificazione urbanistica, tutti costruiti comunque per rendere più praticabile la speculazione; diritti edificatori, premialità, compensazioni, usati per favorire il mercato immobiliare, perequazione urbanistica, infido strumento per barattare consumo di suolo, metri cubi, con aree verdi, cedute gratuitamente al Comune, aree che già verdi sono e per lo più coltivate. Così come la teoria delle semplificazioni che sono una deregulation mascherata che sottrae controllo democratico e vigilanza sui beni paesaggistici e monumentali. Occorre cambiare gli obiettivi della pianificazione verso la costruzione della CITTA' PUBBLICA privilegiando i VUOTI al posto dei PIENI , dello spazio libero che solo può riqualificare le città sotto il profilo sociale, ambientale, estetico. Una città dei diritti di tutti come dice anche il Papa. Ricchi e poveri (in continua crescita), cristiani e musulmani, a differenza di ciò che pensa la Lega, hanno diritto alla casa e al lavoro, alla sanità e alla scuola.
  •  . La domanda di case in affitto a basso costo è rimasta inevasa (700.000 domande giacenti per ottenere una casa popolare), l'emergenza abitativa è arrivata ai massimi storici, con sfratti aumentati dal 2008 ad oggi da 40.000 a 80.000 quasi tutti per morosità incolpevole. Ogni giorno vengono sfrattate con la forza pubblica 150 famiglie, senza sostegno o alternativa
  • E' ormai acclarato che non c'è nessun rapporto fra produzione edilizia e fabbisogno. Il mercato è saturo. Eppure si costruisce ancora. Questo va contro le stesse leggi di mercato, del rapporto fra domanda e offerta. Sembra non esserci una autoregolazione, che altrimenti avrebbe definitivamente da tempo arrestato l'ulteriore consumo di suolo; è come un virus di cui bisogna trovare e somministrare l'antidoto. Possiamo sommariamente indicare 4 ragioni fra le complesse cause del fenomeno.
    • La prima:la rendita che indirizza i capitali verso operazioni speculative distogliendole da quelle produttive, dalla ricerca, dall'innovazione, indebolendo così il nostro sistema di imprese. La rendita parassitaria è un grave danno all'economia. Il denaro non viene usato per opere utili, perchè non danno i margini diprofitto che solo la speculazione edilizia legata alla rendita urbana permette di ottenere. In acquedotti, fognature, protezione e cura dell'ambiente, non c'è rendita, ma solo il guadagno che viene dal costruire, ovvero dal lavoro prodotto dall'impresa. Ma è nel valore di trasformazione della destinazione d'uso dei terreni e degli immobili (che ha indotto la finanziarizzazione delle imprese), che risiedono gli enormi profitti, riscontrabili in modo analogo solo nelle grandi opere e nell'uso del Project Financing che divora le finanze pubbliche con rendite (15%) superiori a quelle praticate dallo strozzinaggio.          
    • La seconda:il riciclaggio di denaro sporco. La maggior parte viene investito nell'edilizia e nelle operazioni immobiliari. I reati contro la pubblica amministrazione commessi da pubblici ufficiali sono aumentati in un anno del 26% . Ammonta a 60 miliardi la cifra della corruzione. Sulle grandi opere ci sono ampi margini di guadagno illecito, si possono evitare i controlli (ne sono un esempio il Mose e i rifiuti tossici nei sottofondi stradali)e rubare così milioni di Euro allo Stato, ovvero ai cittadini.  Il Cipe l'11 novembre ha assegnato al Mose 1,243 milioni di Euro e approvato il progetto preliminare della Orte- Mestre Il primo project bond europeo italiano è destinato al passante di Mestre con un miliardo di Euro da restituire all'ANAS
    • La terza: il ruolo delle banche, la costruzione di edifici (che restano spesso inutilizzati)usati solo a garanzia bancaria per le operazioni di credito
    • La quarta:la spinta dei Comuni ad urbanizzare per fare cassa. Complici gli oneri di urbanizzazione e tutti i proventi derivanti dal costruito, che rappresenta in alcuni Comuni fino al 40% del bilancio. E' un anacronismo che penalizza i Comuni virtuosi che non consumano suolo, ma che vengono così privati delle risorse per erogare servizi ai cittadini.

ALLA RIVOLTA DELLE PERIFERIE soffocate dall'ingordigia del denaro proveniente dalla speculazione e dal malaffare che si annida prevalentemente nell'uso del territorio e negli appalti pubblici, bisogna dare risposte, e per farlo bisogna innanzi tutto liberare la città malata dalla corruzione che distrugge l'economia perchè altera il libero mercato, umilia la competitività e la migliore qualità derivante dalla corretta concorrenza. Dobbiamo andare alla radice del male, di quel male di cui la politica si accorge sempre in ritardo e solo quando sente il tintinnar di manette. Solo estromettendo i germi della corruzione potremo avere periferie sicure, sostenibili e sane, città in cui la dimensione umana sia il fulcro delle politiche di governo del territorio,“città” per rilanciare, una nuova civiltà urbana secondo le più avanzate esperienze europee, con politiche urbane, da troppo tempo colpevolmente assenti dalle agende dei governi nazionali e regionali, o peggio, complici dei processi di privatizzazione delle città. A cominciare dagli investimenti comunitari e nazionali destinati a grandi infrastrutture che devono invece essere dirottati verso le città, dove vive la gente, aumentando, verde, servizi, mobilità sostenibile, equità sociale, edilizia pubblica, tutela dei beni storici e paesaggistici e degli ecosistemi urbani e territoriali

Comitati e associazioni sono gli unici custodi del territorio. L'informazione, la preparazione, la competenza, la conoscenza delle questioni affrontate, che caratterizza i comitati, la diffusione e la partecipazione, sono l'unica arma capace di opporsi e di fornire un modello alternativo di società, di economia, di sviluppo, di città. Obiettivo della Convention è fermare questo dissesto ambientale e politico. Come? Con una cultura alternativa che sconfigga la cultura neoliberista che riduce gli spazi democratici, spegne le speranze e prepara per le prossime generazioni un futuro senza futuro.

7 SI -7 NO

SI agli Ecoquartieri, per riqualificare le periferie favorendo l'integrazione sociale e la rigenerazione urbana nei luoghi in cui vivono i cittadini, per mitigare i disagi sociali promuovendo innovazione e vero sviluppo,

SI ad un premio annuale per i comuni che riducono la superficie impermeabile nel loro territorio

SI all'uso delle risorse europee destinate, non alle grandi infrastrutture, ma alle opere di prevenzione, cura, risanamento, messa in sicurezza del territorio anche fuori dal Patto di Stabilità,

SI alla perequazione virtuosa che nei processi di trasformazione urbana recuperi tutte le aree destinate a Standard nei PRG o PAT vigenti

SI a Varianti ai PRG o PAT che eliminino tutte le residue capacità edificatorie in aree libere in tutti i Comuni del Veneto, perchè solo la buona pianificazione può frenare l'impermeabilizzazione della terra.

SI ad una Legge Regionale che con un articolo unico blocchi immediatamente l'ulteriore consumo di suolo

SI ad un PIANO DEL VERDE per aumentare l'ossigeno dell'aria, la permeabilità del suolo, le funzioni aggregative e sociali, la bellezza delle città, le pratiche di agricoltura biologica nei centri urbani e per creare una cintura di contenimento al tessuto edificato


NO al project financing divoratore di denaro pubblico e produttore di tangenti

NO a Piani Casa che danno possibilità edificatorie senza regole

NO alle grandi opere che sottraggono denaro alla riqualificazione urbana, alla cura del territorio e alle opere urgenti per la vita e la salute della gente

NO al ddl del Ministro Lupi, che affida ai privati, sottraendola agli Amministratori locali e ai cittadini, le scelte sulle trasformazioni urbane. Anche se è di livello nazionale, a questo pericoloso disegno di privatizzazione della città si deve opporre tutta l'Italia

NO alla perequazione che “inventa” aree perequate per divorare terreni ancora liberi. Infido strumento per barattare consumo di suolo e metri cubi con la cessione al Comune di servizi o aree verdi, sottraendole all'agricoltura.

NO alla rendita urbana che è la matrice dei guasti del territorio. Ci sono strumenti per evitarla, che se applicati, frenerebbero la rincorsa al consumo di suolo. Se il differenziale dei valori degli immobili, viene quantificato e restituito alla collettività sotto forma di servizi o di contributo straordinario, perde l'interesse economico alle operazioni immobiliari speculative (come avviene in altri paesi europei).

NO alla vendita di case ERP in presenza di decine di migliaia di domande inevase di famiglie (cristiane e musulmane), che non sono in grado di pagare un affitto a libero mercato o sfrattate per morosità incolpevole


ECOQUARTIERI

(articolo inserito nella proposta di Legge sul consumo di suolo)

  1. Regione e Comune favoriscono la realizzazione di ecoquartieri in tutte le aree urbane in trasformazione e in particolare in quelle caratterizzate da condizioni di degrado ambientale, sociale, economico, edilizio, urbanistico
  2. gli ecoquartieri si caratterizzano per la capacità di sconfiggere le condizioni di degrado urbano presenti nell'area, di migliorarne la vivibilità e di introdurre una qualità aggiunta anche all'intorno dell'area soggetta a trasformazione.
  3. Gli ecoquartieri debbono essere dotati dei seguenti requisiti che ogni Regione provvederà a precisare e ulteriormente definire: a) sostenibilità energetica e uso delle risorse rinnovabili edilizie ed impiantistiche, b) raccolta delle acque piovane e fitodepurazione delle acque reflue, c) uso di materiali biologici non inquinanti e riciclabili, d) utilizzo di materiali riciclati, e) corretto smaltimento dei rifiuti di cantiere anche provenienti dalle demolizioni di manufatti esistenti, f) limite di consumi energetici e sostenibilità ambientale anche durante la fase di cantierizzazione, g) mobilità sostenibile, h) accessibilità dei mezzi pubblici di trasporto, i) dotazione di alloggi in locazione e di edilizia residenziale pubblica, l) assenza di barriere architettoniche, m) recupero di elementi naturali preesistenti (vegetazione, corsi d'acqua..) e manufatti che preservino la memoria storica del luogo, n) presenza di negozi di vicinato, di botteghe, di servizi pubblici di quartiere, o) ampia superfice di terreno permeabile destinata a prato e a macchia boscata, atta a garantire l'assorbimento dell'acqua piovana senza deflussi nelle aree circostanti, p) sostegno all'occupazione degli abitanti non occupati anche attraverso l'inserimento nel ciclo lavorativo del programma, q) programma di manutenzione e gestione economico ed efficiente ad intervento concluso.
  4. le Regioni stabiliscono con propri provvedimenti, modalità e controlli atti a garantire una corrispondenza dei progetti ai requisiti fissati dalla Regione stessa in ottemperanza alle disposizioni dei precedenti commi, finalizzati alla verifica delle condizioni di accessibilità ai finanziamenti provenienti da fonti regionali, statali, europee, a questi destinati.
  5. le Regioni stabiliscono le regole che sovraintendono l'indizione di concorsi regionali e comunali ai quali la trasformazione e realizzazione delle aree viene sottoposta, sia per ottenere l'inclusione nel Piano degli Interventi, sia per accedere ai finanziamenti pubblici. Le graduatorie sono predisposte sulla base dei migliori requisiti di sostenibilità posseduti dai progetti proposti


Terra – Agricoltura – Franco Zecchinato

Le possibili letture del tema Terra sono molte, io porto quella legata all'agricoltura. Il tema della produzione di cibo riguarda tutti, non solo i contadini, non solo gli imprenditori agricoli. Che sono dal punto di vista numerico una minoranza, ma che dal punto di vista dell'economia, degli effetti sul territorio, sulla qualità della vita di questo paese rappresentano un settore primario, se non altro perché producono il cibo. E quale tipo di cibo viene prodotto è un problema col quale tuttidobbiamo misurarci, contadini e non.

Il fatto che l'agricoltura sia vista sempre come un argomento settoriale va superato, perché il cibo è un problema che ci riguarda tutti.

L'agricoltura è pesantemente sovvenzionata, è il primo capitolo di spesa della comunità europea, la famosa PAC.

Semplificando, la PAC si regge su due pilastri: da una parte il sostegno al reddito, dall'altra il sostegno alle azioni agroambientali, ovvero i benefici che può portare un modello agricolo piuttosto che un altro.

Ora credo che al sostegno al reddito, che è di fatto una rendita di proprietà, vada detto definitivamente no.

Basta spendere soldi dei contribuenti per sostenere un'agricoltura che non produce nulla di utile per l'ambiente e la collettività. Invece va detto sia un'agricoltura che produca servizi per la salute, il paesaggio , l'ambiente. Questa è l'agricoltura che va sostenuta.

Un altro tema è il lavoro. In Italia siamo in presenza di una grande ipocrisia: leggevo ieri sul Mattino che c'è il lavoro nero, ogni tanto se ne accorgono, si parla delle nuove schiavitù. La filiera agricola che c'è in Italia riserva ai produttori prezzi talmente bassi che molto difficilmente il lavoro può essere regolarizzato.

In Italia il lavoro di un bracciante regolarmente assunto costa 13/14 euro all'ora, mentre in Austria e Germania, a parità di reddito per il lavoratore, il costo è di 9/10/11 euro all'ora. In questa situazione, con i prezzi che vengono riconosciuti ai produttori, è impossibile rimanere nella legalità.

Il modello agricolo: dobbiamo dire noall'agricoltura chimico-industriale, quella che sta devastando le colline del trevigiano, il basso Veneto... un'agricoltura che non produce niente di interessante per la collettività mentre dobbiamo dire sifinalmente ad un'agricoltura biologica che non sia destinata alla ristretta cerchia di chi può permettersela, ma che orienti tutta la produzione agricola.

Quindi sia un'agricoltura realmente sostenibile.

Poi il problema dell'energia in agricoltura: biogas e biomasse. Bisogna dire no. Il modello, fondato sull'incentivazione coi contributi pubblici, con cui è stata messa in atto nel Veneto, e non solo, questa strategia, è devastante per il lavoro degli agricoltori, per il territorio e per l'ambiente. Se di energie pulite in agricoltura si può parlare devono essere energie che hanno un rapporto preciso e una relazione con l'attività agricola vera.

Ancora sul cibo, mi permetto di dire, noto spesso che se andiamo a vedere il modello di consumo alimentare di molte persone del mondo alternativo, dei comitati, del mondo che si attiva sui temi generali dell'agroambiente o della qualità della vita... beh, spesso lì casca l'asino. Nel senso che, come dice Petrini, l'atto politico principale che possiamo fare, per quanto riguarda l'agricoltura, è proprio la scelta del cibo col quale ci alimentiamo. Quindi dobbiamo dire noa un cibo globalizzato, e dobbiamo dirlo davvero, nel comportamento quotidiano, nelle politiche delle associazioni. Quindi dobbiamo occuparci di quale modello alimentare vogliamo consapevolmente adottare, dobbiamo sapere da dove viene il cibo, chi lo ha prodotto, cosa ne costituisce il prezzo... dobbiamo fare educazione alimentare nelle scuole, confrontarci sul cibo con gli enti locali... Quindi l'atto di consumare il cibo, di alimentarsi, come elemento fondamentale del nostro rapporto col territorio.

Un'ultima riflessione la faccio sulla cooperazione. Gli agricoltori di oggi, oltre ad essere pochi, tendono ad essere isolati, ad affrontare individualmente il mercato e le istituzioni. Dobbiamo proporre modelli cooperativistici, le cose che andiamo a proporre nei territori, nei terreni da riconvertire, nelle aree abbandonate, devono contenere elementi di cooperazione e di condivisione delle scelte economiche e sociali.

Finisco dicendo che mi impressiona, da cittadino, il fatto che dobbiamo dire no a un ospedale per non consumare suolo, però mi impressiona di più vedere lo stato dei terreni intorno alla città. Che sono abbandonati. Anche se ci hanno seminato del mais o della soia, sono sostanzialmente abbandonati, non hanno dietro nessun modello di impresa. Per cui sia una gestione dei terreni periurbani che favorisca gli orti urbani e la cooperazione giovanile e sociale. Occorre fare proposte concrete di utilizzo di questi terreni che vogliamo sottrarre alla speculazione finanziaria ed edilizia.

Mobilità – Opere sbagliate e proposte alternative - Maria Rosa Vittadini

Ho iniziato anch’io, obbedendo alla impostazione dell’incontro di oggi, a mettere una dopo l’altra le opere sbagliate, per passare poi alle proposte alternative. Mi sono arresa subito. Il solo elenco delle opere sbagliate sarebbe stato così lungo da occupare ben più dei dieci minuti che mi sono concessi. Perciò ho trovato la seguente soluzione: rimando tutti all’ottimo lavoro fatto da Ilario Simonaggio, della FILT CGIL, sulle infrastrutture stradali e autostradali del Veneto, che si può liberamente consultare sul sito:http://www.filt.veneto.cgil.it/content/viabilit%C3%A0-tabella-con-aggiornamento-di-strade-e-autostrade-ad-ottobre-2014 . In quel sito per ognuna delle 25 grandi opere stradali e autostradali che oggi, con diverso grado di concretezza, si aggirano sulla nostra testa si trovano non solo le caratteristiche fisiche e gestionali e i costi previsti, ma soprattutto la storia, le date, i protagonisti politici, le decisioni procedurali, le opposizioni, i ricorsi e il loro esito. Ci sono la Pedemontana, la Valdastico Nord e Sud, la Romea, la Nogara Mare, il prolungamento della A27 verso nord, la Treviso-mare le tangenziali di Padova e delle altre città e tanti altri progetti. Ne esce uno spaccato impressionante di percorsi decisionali incerti e tormentati, di alleanze affaristiche, di intreccio tra politica e interessi privati. Il tutto tenuto insieme da un sistema collaudatissimo di uso delle risorse pubbliche per finalità evidentemente mirate alla conservazione dei propri affari e del proprio potere. Appare infatti molto chiaro che la grandissima parte di tali opere non nasce dalla necessità di servire il territorio veneto, che non è affatto meno infrastrutturato rispetto alle altre regioni italiane, ma dalla volontà, per le concessionarie, di prolungare al’infinito la durata delle concessioni e per i politici, nel migliore dei casi, dalla ricerca di visibilità. Opere la cui finalità più evidente è di sfruttare la “vacca da mungere” come qualcuno ha definito le concessioni autostradali, che lucrano sul doppio fronte degli incassi da pedaggio (liquidità immediata, e continuamente riaggiustata al rialzo) e degli appalti delle opere realizzate senza gara dalle imprese socie delle società concessionarie. L’intervento dei privati non comporta alcun rischio imprenditoriale, dal momento che ai contributi pubblici a fondo perduto dello Stato (e oggi anche delle Regioni) si aggiungono ulteriori soldi pubblici per far quadrare i bilanci quando i conti delle concessionarie, come spesso succede, non tornano. La finanziarizzazione delle opere pubbliche, e in particolare di quelle per cui è possibile un pagamento da parte degli utenti ha portato ad una proliferazione impressionante di iniziative per nuove autostrade, bretelle, raccordi, ecc. Tutte basate sul project financing, ovvero sull’idea che il capitale necessario venga messo dagli investitori privati che si ripagheranno dell’investimento attraverso le tariffe pagate dagli utenti. Questa formula, diffusa anche in altri paesi europei, presuppone che il rischio dell’investimento sia assunto in maniera equilibrata tra l’amministrazione pubblica e il privato investitore. Nella situazione italiana succede invece che al privato investitore si consente di non correre alcun rischio: se l’introito tariffario non basterà ci penserà la mano pubblica a pagare il resto. Come stupirsi se autostrade progettate o anche già realizzate hanno livelli di traffico ridicoli (pensiamo alla Valdastico Sud): tanto pagheremo noi. La concessione della Pedemontana parla chiaro a questo proposito: l’elevato contributo pubblico a fondo perduto e il pedaggio comunque non saranno sufficienti a remunerare l’investimento e coprire i costi di gestione, quindi provvederà la Regione con adeguate risorse aggiuntive annuali a far quadrare i conti. Provvederà con i denari di tutti, sottraendoli ad altri usi più utili e più importanti per la collettività.

In Veneto accanto al capitolo autostrade bisogna poi aprire altri capitoli per grandi opere sbagliate. Potremmo citare il Mose e il verminaio di tangenti che la Magistratura ha scoperto nei mesi scorsi. Una scoperta che ha finalmente fornito una convincente spiegazione per l’ostinazione a voler realizzare un’opera di così grave impatto ambientale e di così dubbia utilità. Oppure si può ricordare lo scavo del Canale Contorta finalizzato a far arrivare le grandi navi a Venezia: una soluzione che comporta l’allargamento e l’arginamento con barene artificiali (ovvero grandi massi) del canale dei petroli da Malamocco fino alla Marittima. Le conseguenze di un tale progetto sul già fragile equilibrio lagunare sarebbero davvero devastanti: si spezzerebbe in due la continuità della Laguna, con profonde alterazioni sia della morfologia che dei dinamismi lagunari. E poi occorre aprire il capitolo ferrovie. La tratta ad Alta Velocità da Verona a Trieste ancora appare in grado di provocare grandi guai: ad esempio a Vicenza dove la collocazione della stazione in periferia annulla il vantaggio competitivo della ferrovia nell’accessibilità urbana, ma in compenso apre la strada a lucrose speculazioni immobiliari. Problemi gravi si pongono anche nel proseguimento della linea AV dopo Mestre verso Trieste: qui, seppure molto impallidito,non è ancora certo l’abbandono del tunnel Mestre-aeroporto lungo la gronda, economicamente e ambientalmente disastroso, e non è ancora definito il tracciato fino a Trieste. Nonostante lo stesso Commissario ministeriale per l’infrastruttura abbia riconosciuto l’assurdità e la devastazione territoriale dei progetti fin qui elaborati da Italferr e la ragionevolezza delle ipotesi di potenziamento della linea esistente, magari con parziali brevi raddoppi laddove serve. Il master plan dello sviluppo aeroportuale di Tessera, con la sua previsione a lungo termine di raddoppio del traffico e la conseguente pretesa necessità di una seconda pista pone anch’esso la sua ipoteca di occupazione di suolo e di carico territoriale di inquinamento atmosferico ed acustico.

Il numero e la portata delle grandi opere infrastrutturali proposte deve far riflettere. La grande capacità dei realizzatori e gestori di infrastrutture di piegare al loro interesse le regole e le decisioni pubbliche viene da lontano. Dagli anni Cinquanta agli anni Novanta la politica dei trasporti del paese è stata dominata dalle concessionarie di autostrade e dal vasto sistema di interessi cementato intorno al mondo dell’automobile e del trasporto stradale delle merci. Tuttavia oggi la situazione è molto diversa e le logiche degli investitori sono diverse. Il deciso rallentamento della crescita della mobilità non dipende solo dalla crisi economica, ma dipende dal cambiamento dell’economia, dei consumi, degli stili di vita. Nell’ultimo decennio i tassi di crescita della mobilità si sono dimezzati rispetto al decennio precedente e negli ultimi anni hanno addirittura assunto livelli negativi. In un paese normale le nuove condizioni sarebbero una ragione più che sufficiente per ripensare la politica dei trasporti e togliere di mezzo molte opere inutili. In Italia la nuova situazione è diventata invece ragione di delega totale della politica infrastrutturale a capitali finanziari in cerca di collocazioni profittevoli e prive di rischio. Una delega nella quale lo Stato e le Regioni hanno dismesso ogni parvenza di programmazione limitandosi a legittimare l’iniziativa privata e a finanziare le opere. La sciagurata Legge Obiettivo ha tradotto in norma l’assenza totale di programmazione e ha blindato il sistema indebolendo le procedure di valutazione ambientale e introducendo vincoli temporali. La scoperta delle connivenze e del malaffare paradossalmente ha avuto come unica conseguenza di rafforzare e accelerare la realizzazione delle opere stesse, come nel caso del Mose.

La prima proposta alternativa è dunque quella di battersi per la riforma della Legge Obiettivo e la ripresa della programmazione in capo all’Amministrazione pubblica, così da impedire il proliferare “alla spicciolata” di iniziative di project financing, e da arginare la deriva di irresponsabilità che esso ha assunto nel caso italiano. Non solo le opere devono essere programmate e decise dalla Amministrazione pubblica, ma devono nascere da un serio processo di partecipazione delle collettività locali. dunque alla introduzione del Débat public alla francese per la scelta e la elaborazione di progetti condivisi, capaci di rispondere alle esigenze dei territori che attraversano.

La seconda proposta nasce dalla osservazione che tali inaccettabili proposte hanno spesso origine da problemi reali, affrontati secondo un ben collaudato copione: il problema si lascia marcire senza alcun intervento per molti anni, così che poi l’intervento finanziario del privato investitore appare come una miracolosa soluzione. In tal modo laddove il problema avrebbe richiesto modesti interventi come una nuova tangenziale o l’ampliamento di una strada esistente o il potenziamento di una tratta ferroviaria il ricorso al project financing porta alla sistematica proposta di nuove autostrade o di nuove ferrovie, con enorme spreco di territorio, sottoutilizzo delle reti esistenti e spreco di risorse finanziarie. L’opposizione ai grandi progetti non deve impedire di riconoscere i problemi reali e di impegnarsi nella ricerca di soluzioni adatte. Come del resto fanno i comitati. A questo scopo una più efficace organizzazione della rete dei comitati, forme di coordinamento e di scambio di esperienze e di saperi potrebbero essere molto preziose.

La terza proposta nasce dalla seguente osservazione. L’azione dei comitati per individuare alternative progettuali e per farle valere nei processi decisionali e nelle procedure è molto meritoria. Ma giochiamo sempre di rimessa, sempre in difesa. A mio parere quello che occorre produrre oggi è una convincente e condivisa visione del territorio che vogliamo, una nuova lettura delle necessità e dei problemi e quindi anche delle soluzioni e delle trasformazioni necessarie. Il mondo è cambiato e sta ulteriormente cambiando a ritmi accelerati. Occorre costruire insieme una nuova comprensione delle prospettive a breve e medio termine, un riconoscimento delle risorse e del loro valore che ci serva di riferimento. Solo se riusciamo a capire potremo davvero incidere sulle direzioni del cambiamento e andare verso un futuro meno ambientalmente sciagurato e socialmente iniquo di quello che ci si prospetta oggi. Non partiamo da zero. Già molta elaborazione e molta conoscenza è patrimonio dell’insieme delle associazioni e dei comitati e anche questo incontro è senza dubbio sia un passo promettente per andare in questa direzione. Ma possiamo andare oltre, per dare concretezza di proposte alle nostre idee. Ad esempio dandoci una organizzazione in gruppi locali di lavoro su temi non settoriali per cominciare a costruire il quadro delle risorse, dei valori, delle potenzialità. E anche dei problemi, ovviamente. Così da scambiarci i saperi necessari e da elaborare proposte condivise di politica di tutela e valorizzazione di quelle risorse. I comitati, le associazioni, i gruppi volontari si occupano del ventaglio di tutti i temi rilevanti, coprono un estensione territoriale importante e conoscono il loro territorio in profondità. Chi meglio di loro può contribuire alla proposta di una nuova visione delle cose da tradurre, con le collettività i soggetti sociali e le amministrazioni pubbliche, in politiche condivise? Se la cosa vi pare interessante e fattibile mi impegno ad elaborare a breve una concreta proposta in tal senso.

Acqua – Acqua potabile e uso energetico - Lucia Ruffato

Il tema Acqua è interconnesso con tutti gli altri temi. Uso del territorio, consumo di suolo, modelli

economici, difesa idraulica, cosa si coltiva e come, energia, Acqua come bene o risorsa, equilibrio

squilibrio, rispetto o sfruttamento. Acqua come democrazia.

Acqua come servizio idrico. Il Governo Renzi sta tentando di raggiungere il risultato cui sinora

nessun governo era riuscito ad arrivare: la privatizzazione dell’acqua e dei servizi pubblici locali.

Lo fa attraverso due provvedimenti: il decreto “Sblocca Italia” e la legge di stabilità.

Con il primo, impone ai Comuni l’obbligo di aggregare le società del servizio idrico per arrivare ad

un gestore unico per ogni ambito territoriale ottimale, spesso coincidente con il territorio regionale.

Con la seconda, rende sempre più onerosa la gestione pubblica dell’acqua e spinge gli enti locali a

privatizzare, permettendo loro di spendere fuori dal patto di stabilità i soldi ottenuti dalla cessione

delle proprie quote ai privati.

Il Governo Renzi vuole in questo modo mettere una pietra tombale sul risultato referendario che nel

2011 ha visto la maggioranza assoluta del popolo italiano pronunciarsi per una gestione pubblica,

partecipativa, territoriale e senza profitti dell’acqua e di tutti i beni comuni.

Il Governo Renzi vuole affidare l’acqua e tutti i servizi pubblici locali a quattro grandi multiutility

collocate in Borsa: A2A, Iren, Hera ed Acea, consegnando i beni comuni delle comunità territoriali

agli interessi dei grandi capitali finanziari.

SI applicazione esiti referendum , SI ripubblicizzazione, SI gestione pubblica e partecipata

attraverso società di diritto pubblico, NO privatizzazione, NO profitto .

Acqua come corsi d'acqua fiumi e torrenti.

SI riqualificazione dei fiumi NO a ulteriore degrado

Uso agricolo uso irriguo: Acqua che si lega alla Terra : cosa si coltiva e come, le sostanze che si

usano in agricoltura, interazione con la falda.

SI a risparmioNO a inquinamento

Usi industriali e civili:

SI depurazione NO inquinamentoSI riciclo e risparmio

Gestione rischio alluvioni va integrata con obiettivi di qualità dei corpi idrici

NO a gestione infrastrutturale ( che non diventi una ulteriore scusa per cementificare il territorio )

SI restituire/non togliere spazio al fiume (assecondare dinamiche, dare al fiume possibilità di

esondare in luoghi dove non fa danno). Evitare il degrado significa risparmiare sugli interventi

successivi.

NO interventi emergenziali come prassi. No piani straordinari.

SI confronto con le popolazioni dei territori.

SI pianificazione condivisa ( bottom up )

Uso energetico: impianti idroelettrici

E' necessario tenere conto dello sfruttamento pregresso molto significativo.

SI a misure di mitigazione impatti impianti esistenti

SI a maggior ritorno economico da impianti esistenti da usare per riqualificazione fluviale e

territorio (meno rendite ai gestori ).

NO a nuovi impianti se deteriorano i corsi d'acqua ( vedi Appello nazionale per la salvaguardia

dei corsi d'acqua dall'eccesso di sfruttamento idroelettrico recentemente sottoscritto da tutte le

associazioni che si occupano di fiumi).

NO incentivi a nuovi impianti che deteriorano i fiumi.

SI moratoria delle centinaia di domande per nuovi impianti in istruttoria.

SItavolo di confronto con coinvolgimento delle comunità nelle decisioni anche strategiche.

Società - Chiusa o aperta – Nicoletta Regonati

Ho vissuto per cinque anni nella Baixada Fluminense, nella periferia della periferia di Rio de Janeiro, ho vissuto per cinque anni la Baixada Fluminense..... e chi conosce il Brasile sa che cosa questo significhi!

Vivere la Baixada Fluminense ha significato per me condividere una quotidianità di violenza, di ingiustizia e di miseria, aggravate dai problemi alcol-drogacorrelati. Ha significato condividere, a volte, la rassegnazione e sempre le speranze, le lotte. Ha significato vivere l'altra faccia della medaglia, vedere il mondo da un'altra prospettiva, leggere la realtà attraverso un altro paradigma, grazie anche agli incontri che il Brasile mi ha regalato... uno fra tutti quello con Leonardo Boff.

Avevo letto alcuni suoi libri, conosciuto in parte della sua storia e le sue lotte, ma nel primo incontro con lui, a Fé e Politica, ho scoperto la sua nuova (allora!) dedizione alla difesa della Terra, dedizione per la quale, molti di coloro che con lui avevano lottato per la difesa dei più poveri, o meglio, degli impoveriti, come si diceva in Brasile, lo accusavano di non essere più ROSSO, ma di essere diventato VERDE.

E proprio in quell'occasione lui rispondeva alle accuse dicendo che niente era cambiato nella sua lotta per la difesa della vita e della dignità dei più poveri, perché, ora, il vero grande povero, il più povero dei poveri da difendere e da proteggere era la Terra, anzi, GAIA, Madre Terra (Pacha Mama).

Madre Terra intesa non solo come pianeta, ma come superorganismo vivo, fatto per riprodurre vita a tutti i livelli: biologico, politico, economico, sociale, ecc...

Leonardo Boff fu tra coloro che, a fronte di un lavoro condiviso durato alcuni anni a partire dal 1987, portarono all'approvazione, nell'anno 2000 la “Carta da Terra”, definita come “una dichiarazione di principi etici fondamentali per la costruzione, nel 21° secolo, di una società globale giusta, sostenibile e pacifica, che mira a infondere in tutti i popoli un nuovo sentimento di interdipendenza e responsabilità condivisa, finalizzati al benessere di tutta la famiglia umana, della grande comunità di vita e del futuro delle nuove generazioni: è una visione di speranza e una chiamata all'azione”.

La Carta da Terra riconosce che gli obiettivi della protezione ecologica, dellosradicamento della povertà, dello sviluppo economico equo, del rispetto dei diritti umani, della democrazia, dellasicurezza e della pace sono interdipendenti ed indivisibili, quindi non possiamo pensare alle cose importanti dette da chi mi ha preceduto ed a quelle di chi seguirà, senza sottolineare la loro interconnessione con la qualità delle relazioni tra tutti gli esseri viventi e con gli stili di vita di ognuno.

Per tradurre tutto questo nella concretezza della quotidianità, dobbiamo fare lo sforzo di modificare alcuni paradigmi dominanti e passare dal concetto di ambiente a quello di comunità di vita, dal pensare l'umanità come dominatrice della natura al pensarla parte indissolubile della stessa,  passare da una logica di sviluppo, ad una logica di equilibrio, dove non ha più senso il concetto di sostenibilità, ma acquisiscono valore la ridistribuzione delle risorse e l'impegno per l'uguaglianza.

Concretamente quindi, pensando alla società Veneta, alla Terra Veneta come parte della Madre Terra universale e volendo affrontare le sfide del futuro, facendo nostri i principi della “Carta da terra”, dobbiamo dire SI

  • all'accoglienza   e alla solidarietà incondizionate,
  • ai diritti garantiti a uomini e donne equamente ed a tutti i livelli (cittadinanza, educazione, salute, lavoro, religione, ecc...)
  • alla possibilità che ogni persona possa realizzare le sue potenzialità
  • alla promozione del bene comune
  • alla protezione delle persone più vulnerabili e più discriminate (donne, bambini, anziani, disabili, minoranze etniche, nuovi cittadini, detenuti, ecc...)
  • all'equa ripartizione delle risorse
  • alla promozione di relazioni tra le persone e di reti tra le istituzioni pubbliche e private
  • all'eliminazione della violenza di genere che colpisce donne, omosessuali, ecc.. e di qualsiasi forma di discriminazione, di genere, di razza, di orientamento sessuale, di religione, ecc...
  • alla promozione di una cultura del sociale che veda il sociale e chi lo rappresenta come risorsa per la città. Risorsa in quanto:
  • contribuisce al benessere di tutti
  • fa prevenzione, perché orientata al mantenimento e al miglioramento della qualità di vita di tutti i cittadini;
  • è fonte di un arricchimento personale che incentiva alla partecipazione e alla cittadinanza attiva, non solo chi compie azioni sociali, ma anche chi ne beneficia
  • contribuisce all’intensificazione della comunicazione e del dialogo
  • agisce in modo non burocratico, semplice, diretto e orientato al bisogno di prestazioni di sostegno
  • persegue idee e concetti e dà spazio alla creatività sociale
  • produce risorse, anche economiche per la comunità
  • partecipa alla  creazione di una nuova cultura della convivenza nella comunità.

Viene da sé un deciso NO a tutte quelle azioni che impediscono o anche solo non favoriscono, tutto quanto detto sopra, che chiudono le porte e uccidono la speranza. (e gli esempi tutti li conosciamo... basta fare riferimento alle notizie dei giornali degli ultimi mesi)

 

Risulta quindi necessario che i principi della Carta da Terra siano inseriti nella legislazione e fatti propri dalle politiche pubbliche, con l'attivazione di organismi partecipativi.

 

Io sono di origine contadina e la Terra, intesa sia come materia che come cultura, ha sempre rappresentato per me un forte richiamo. Così come sento ogni giorno più forti e più solide le mie radici, altrettanto sento di aver messo le mani nella terra brasiliana, di aver partecipato alla sua coltivazione e alla raccolta dei suoi frutti, il tutto dentro ad una esperienza relazionale molto forte, fatta di umanità e di fede, quell'umanità che, etimologicamente deriva da humus, terra ed alla quale appartiene indissolubilmente.

Ho sperimentato l'essere dall'altra parte della barricata, l'essere lo straniera, magari ricca e fortunata, ma pur sempre straniera in casa altrui, un'esperienza non priva di difficoltà, ma sicuramente un'esperienza di crescita, che ha fatto maturare in me la consapevolezza che “veramente - come scriveva Giovanni Paolo II nella “Sollicitudo rei socialis” – tutti siamo responsabili di tutti”, vale a dire che, solo modificando i nostri comportamenti quotidiani, possiamo continuare a sognare un futuro e che non può esserci vera solidarietà, fuori da questa consapevolezza. E che la convivenza diventa possibile solo se passa attraverso la giustizia, giustizia sociale in primo luogo.

Confesso che mi spaventa la velocità con la quale la nostra città si sta avvicinando alla Rio del degrado umano e ambientale che ho conosciuto, ma abbiamo sognato tanto insieme in questi anni e voglio continuare a farlo fino a che non si concretizzi ciò che dom Helder Camara profetizzava:

“Beati coloro che sognano:

porteranno speranza a molti cuori

e correranno il dolce rischio

di vedere

i loro sogni realizzarsi”

H. Camara

Aria – Industrie e inquinamenti – Franco Rigosi

Consci dello spaventoso impatto sanitario dell'inquinamento atmosferico che in Europa procura 450.000 morti premature all'anno e produce costi esterni collegati all'impatto sanitario per un valore calcolato attorno a 330­940 miliardi di euro all'anno ( comunicato Commissione UE 18­12­ 2013) vediamo la nostra situazione attuale e le prospettive a breve.

 L'inquinamento dell'aria ha avuto una progressiva riduzione in questi anni in Italia a causa della crisi, così anche in Veneto.

Numerose le fabbriche che hanno chiuso (basti pensare al petrolchimico di Marghera quasi tutto fermo), il traffico di auto e camion che si è ridotto per diminuzione dei consumi di merci e per la crisi che ha ridotto il chilometraggio medio annuo delle famiglie. Nella produzione di energia alcune centrali termiche hanno chiuso come a Marghera dove la centrale Volpi funzionava a carbone o altre sono ferme per la ridotta richiesta di energia elettrica, o come Porto Tolle che non riaprirà più per i costi della conversione in una fase di eccesso di offerta energetica.

I dati dell'inquinamento aria delle città sono andati leggermente migliorando anche se ancora molte volte sono sopra i limiti per le polveri fini e finissime.

Sono aumentati invece i contributi inquinanti del traffico aereo, che dopo una leggera crisi ha ripreso a crescere, e quello delle grandi navi che nella zona di Venezia non hanno ridotto i transiti.

 L'effetto serra ha portato a una riduzione anche dei consumi, e quindi degli inquinamenti, deiriscaldamenti domestici per gli inverni più miti, solo in parte compensati dai consumi elettricimaggiori per le estate calde e i condizionatori ormai installati ovunque.

 Per trasformare la crisi in una risorsa approfittando della situazione contingente e indirizzandola verso linee rispettose dell'aria e dell'ambiente bisogna spingere gli incentivi europei per il rilancio dell'economia verso settori puliti. In generale si potrebbe puntare anche qui in Veneto a :

 1 -­ programma di investimento per isolamento edifici e certificazione energetica obbligatoria per ridurre consumi energetici domestici e relativo inquinamento aria. Favorire la sostituzione di elettrodomestici energivori con quelli a basso consumo. Proibire in pianura sotto i 300 m dialtezza l'uso di stufe a legna e impianti a biomasse per ridurre la produzione di polveri fini, giàMarche e Lombardia hanno legiferato in tal senso.

 -­ no al consumo di suolo per permettere al verde di continuare ad abbattere CO2 e fornirciossigeno

-­ migliorare rendimenti energetici degli impianti industriali per ridurre uso di combustibili e quindi l'inquinamento

 -­ cogenerazione diffusa di energia e calore per utilizzare il potenziale energetico dei combustibili al 97 %. Proseguire investimenti per energie rinnovabili e chiudere centrali a energie fossili ancora in funzione.

 

2. ­ Favorire l'uso di mezzi pubblici nelle aree urbane rendendoli anche gratuiti, e favorire trasporti collettivi (treni, bus,ecc) per la mobilità delle persone; per le merci ridurre i camion efavorire treni e linee di navigazione.

 - Blocco immediato delle nuove grandi opere che favoriscano i trasporti su gomma (Orte- Mestre, nuovi tratti autostradali,ecc).

 - Favorire il telelavoro e tutto ciò che può risparmiare spostamenti fisici delle persone.

 - Favorire sostituzione vecchie auto con nuove a gas o elettriche, sviluppare car sharing e car pooling

 

3. ­ Favorire l'agricoltura biologica per ridurre l'inquinamento di terra ,acqua e aria.

 - Nelle campagne, proibire l'uso di qualsiasi pesticida o fitofarmaco a distanza di 1 km dalleabitazioni,paesi, scuole ,ecc

 - Fare educazione sanitaria per prevenire malattie e spiegare le correlazioni tra malattie einquinamento dell'aria e i relativi costi.

 

Aria – Salute e Ambiente – Andrea Zanoni

Andrea Zanoni: Aria – Salute e Ambiente –

 

La situazione in Europa

L’inquinamento atmosferico che avvelena l’aria delle citta e campagne europee, provoca ogni anno circa 400.000 mila morti premature nei 28 stati membri dell’Unione Europea.

Il 90% dei cittadini europei delle aree metropolitane, e il Veneto oggi è una citta’ continua,  è esposto a livelli di polveri PM10 e PM2,5 e Ozono superiori ai limiti di legge, ovvero a quelli della Direttiva UE sulla qualità dell’Aria  e a quelli indicati dall’OMS (Organizzazione Mondiale Sanità).

Questi sono dati ufficiali dell’Agenzia Europea sull’Ambiente – EEA contenuti nel rapporto Air Quality in Europe 2014 pubblicato mercoledì 19 novembre scorso.

 

La situazione in Italia

Ci sono una decina di regioni più inquinate  in Europa e tra queste troviamo la macro area della pianura padana, dove tra le regioni più compite ci sono la Lombardia, l’Emilia Romagna ed il nostro Veneto.

Per quanto riguarda le vittime stimate dovute alle PM2,5 in Italia, questo rapporto parla di 64.000 cittadini Italiani che per la maggior parte si concentrano in queste tre regioni e quindi anche qui da noi in Veneto.

I componenti che maggiormente preoccupano l’Agenzia Europea Ambiente - EEA sono le polveri PM10, PM2,5, l’ozono e il Benzo(a)pirene (BaP).

L’Italia è stata condannata il 19 dicembre del 2012 dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per la violazione della Direttiva Comunitaria sulla qualità dell’aria, quindi come nazione siamo dei pregiudicati proprio su una materia strettamente connessa con la nostra salute. A luglio 2014 nei nostri confronti è stata inoltre aperta una nuova procedura di infrazione dalla Commissione europea sempre per la violazione della direttiva sulla qualità dell’aria. Da sottolineare che le sanzioni europee arrivano solo in caso di recidiva e la seconda sentenza di condanna è ormai vicina.

 La situazione in Veneto

Da allora è stato fatto troppo poco, la Regione Veneto ha un Piano Regionale di Tutela e Risanamento dell’Atmosfera da dieci anni (11 novembre 2004) che non ha prodotto alcun risultato positivo. Questo è un piano inefficace ad affrontare la grave situazione di inquinamento atmosferico (che si traduce in una emergenza sanitaria)  e la Condanna della Corte di Giustizia.

Attualmente è in itinere un nuovo piano non ancora approvato e anch’esso inadeguato.

La regione ha approvato bandi che sono più specchietti per le Allodole,  di pura propaganda preelettorale, che azioni concrete per affrontare questa emergenza SANITARIA ed AMBIENTALE:

  1. 2 milioni per la rottamazione di vecchi veicoli con contributo ai privati di 1000 euro (su una popolazione di 4.927.401 abitanti) ,
  2. 2 milioni per rottamazione stufe e acquisto di stufe a biomasse legnose, dei quali 1 milione tolto dal bilancio a favore del fotovoltaico,  
  3. 1,3 milioni per il bike sharing per i comuni (su ben 581 comuni). Il Bike Sharing è il sistema di noleggio biciclette automatico che offre a cittadini e turisti una alternativa all’uso dell’auto per gli spostamenti urbani. 

Si tratta di elemosine pari a 40 centesimi di contributo a cittadino per la rottamazione veicoli e stufe e 2.200 euro per ogni  comune per il bike sharing. Queste cifre non risolvono assolutamente nulla.

Poi però la Giunta Regionale stanzia ben 1,8 milioni di euro per la propaganda istituzionale effettuata proprio alla vigilia delle elezioni regionali.

 

Cosa fanno le altre regioni?

 A titolo di esempio positivo riporto il dato della Regione Piemonte che nel 2008 ha emesso un bando da 100 milioni di euro per finanziare investimenti aziendali in impianti energetici ad alta efficienza, cui hanno risposto oltre 400 imprese.


 Meglio investire che pagare le sanzioni europee

 Dopo la condanna della Corte di Giustizia Europea del 19 dicembre del 2012 le sanzioni europee potrebbero arrivare e viaggiare intorno ai 100/200.000 euro al giorno, in totale si parla di diversi miliardi di euro.

Meglio investirli e muovere l’economia, innescare anche cambiamenti economici virtuosi verso le fonti rinnovabili, verso il fotovoltaico e non solo.

Con investimenti nel settore delle rinnovabili potremmo anche rilanciare l’economia dando risposte concrete alla piaga della disoccupazione che colpisce il Veneto.

 

La modifica della direttiva dell’aria e la politica della Regione Veneto.

La Commissione Europea ha in cantiere importanti modifiche del “pacchetto sulla qualità dell’aria”. Purtroppo la Regione Veneto e Lombardia da anni sta attuando una politica di contrasto di queste importanti norme che renderebbero più stringenti i limiti di inquinamento.

 

Altri fattori di inquinamento dell’aria

Altri fattori da non sottovalutare per quanto riguarda l’inquinamento dell’aria:

  1. Deriva dei pesticidi, chi abita nelle zone coltivate a viti (Vedi ad esempio l’area del Prosecco) può essere sottoposto all’irrorazione e all’effetto deriva specie se in presenza di vento o se viene utilizzato l’elicottero
  2. Effetto moltiplicatore causato da importante linee elettriche aeree. Le particelle inquinanti si caricano negativamente passando attraverso i campi magnetici degli elettrodotti e perciò quando inalate si attaccano più facilmente alla superfice dei polmoni con i conseguenti effetti negativi
  3. Stufe a legna. Anche a causa della situazione economica molti ricorrono all’uso del riscaldamento a legna. Queste stufe tradizionali non sono censite, non sono sottoposte a nessun controllo, spesso sono carenti di manutenzione, non hanno alcun filtro di abbattimento delle polveri. Paradossalmente chi ha una caldaia a metano, combustibile molto meno inquinante, deve sottoporla a controlli periodici obbligatori.
  4. Combustione illegale fai da te da parte dei privati di rifiuti. Queste combustioni causano gravi fenomeni di inquinamento dell’aria.
  5. Accensione dei falò dell’epifania. Anche questi fuochi causano gravi inquinamenti e per molti sono occasione per disfarsi di materiali e rifiuti vari.
  6. Combustioni in agricoltura dei residui delle potature. Attualmente un recente decreto consente la combustione di tre metri cubi di scarti vegetali per ettaro. E’ una norma di difficile attuazione a causa dell’inesistenza dei controlli che dovrebbe essere vietata in aree dove da anni si violano le norme sulla qualità’ dell’aria.

 

L’impatto sulla salute

 Le attività inquinanti dovrebbero essere sottoposte ad una VIS Valutazione di Rischio Sanitario.

Oggi in Italia e in Veneto manca questa attenzione verso la salute anche se alcuni stati europei già hanno una legislazione molto attenta a riguardo.

Nella nuova direttiva VIA ho fatto inserire nel rapporto ambientale la descrizione dei rischi per la salute dei progetti da approvare. In commissione ambiente spesso si parla della necessità di questa norma che valuta i danni sulla salute di un’intera popolazione a causa dei nuovi impatti ambientali che gravitano sull’aria.

 

I costi economici causati dall’inquinamento dell’aria

 Chi ci governa dovrebbe ben conoscere i costi sanitari di queste migliaia di morti ed ammalati a causa dell’inquinamento dell’aria.

Sappiamo tutti che la fetta maggiore del bilancio della Regione Veneto va in spese per il comparto sanitario.

Se, partendo dai dati della Agenzia Europea Ambiente - EEA, la Regione Veneto calcolasse i costi economici causati dall’inquinamento dell’aria ci sarebbero delle motivazioni importantissime per far cambiare rotta all’attuale politica di totale immobilismo.

Ci sono poi altri tipi di danni da inquinamento dell’aria come quelli all’agricoltura, all’agricoltura biologica e alla biodiversità.

 

La politica sulla lotta ai cambiamenti climatici

 La Regione Veneto avrebbe un’opportunità importantissima attuando le politiche europee per la lotta ai cambiamenti climatici, ovvero la riduzione delle emissione del killer del clima, la CO2 anidride carbonica, riuscirebbe parallelamente a combattere l’inquinamento dell’aria.

 Esiste il Fondo Europeo Horizon 2020 che finanzierà 84 miliardi di euro in sette anni per chi attuerà progetti di innovazione tecnologica utili a dare risposte alle principali emergenze europee in tema di sostenibilità ed ambiente: 1) Cambiamenti climatici, 2) Problema dell’esaurimento e consumo irrazionale delle risorse, 3) problema della costante perdita dalla biodiversità.

Perciò la Regione dovrebbe attivarsi affinché i privati, le aziende, le università, le pubbliche amministrazioni ai quali e’ rivolto il fondo vengano aiutate con tutti i benefici conseguenti.

 

I NO

  • Stop a nuove autorizzazioni di nuove fonti di inquinamento (impianti che prevedono combustioni di residui, rifiuti, biomasse, ecc.)
  • Stop alle combustioni incontrollate di residui vegetali in agricoltura.
  • Stop alla combustione di ogni tipo di rifiuto che deve invece essere recuperato e riciclato.
  • No alla politica regionale del Veneto di incentivo delle caldaie a biomasse.
  • No alle grandi centrali di produzione di energia (Porto Tolle, centrali a biomasse, ecc.)
  • Lotta alle combustioni illegali tramite piani si sorveglianza e controllo.

 

I SI

  • Incentivi alla rottamazione dei veicoli inquinanti da sostituire con veicoli ibridi (Metano/elettrico)
  • Incentivi alla sostituzione delle caldaie inquinanti con sistemi di riscaldamento a basso impatto ambientale.
  • Sostituzione del parco dei mezzi di trasporti pubblici attualmente funzionanti a gasolio con quelli a metano o elettrici.
  • Ristrutturazioni energetiche degli edifici esistenti e dotazione di impianti termici a energie rinnovabili (solare termico, pompe di calore)
  • Corsa ai Fondi europei (Horizon 2020) per la ricerca di sistemi di innovazione tecnologica che abbattono l’inquinamento dell’aria.
  • Nuovo Piano di risanamento dell’aria capace di rispondere ai requisiti della direttiva Aria UE e ai limiti dell’OMS..
  • Piano regionale sulla valutazione di impatto sanitario delle varie attività che producono inquinamento dell’aria.
  • Quantificazione economica dei danni sanitari e non causati dall’inquinamento dell’aria.
  • Incremento delle aree a verde pubblico, tutela del verde esistente (Alberi, siepi, prati, ecc.)

 

Terra – Risorse e Rifiuti – Michele Boato

Michele Boato:  RISORSE E RIFIUTI

 

I rifiuti urbani stanno diminuendo

 In Europa (UE a 28membri) nel 2012 sono state prodotte 209 milioni di tonnellate di RU ( ­2,6% rispetto al 2011) ed è diminuita anche la produzione per abitante da 499 a 489 Kg/anno

 L’Italia è passata dai 32,5 milioni di ton/anno del 2007 (la punta più alta) ai 29,6 del 2013, conuna riduzione pro capite, dai 528 Kg/a del 2011 ai 505 del 2012 ai 487 del 2013 (1,2 Kg al giorno).

 In Veneto la produz. tot. di RU è salita lentamente fino ai 2,4 milioni di ton/anno del 2008, poi ha cominciato a scendere arrivando a 2,2 nel 2013. Un calo dovuto sia alla crisi economica (minori consumi), sia al diffondersi della raccolta porta a porta e di tariffe puntuali (in media i comuni che passano dal 30 al 60% di raccolta col p.a p. riducono la produzione di RU del 20%).

 Parallelamente, la prod. pro capite è scesa dai 488 Kg/anno del 2010 ai 449 del 2013 (­9%), con la minor produzione nelle province di Treviso (356 Kg/ab/a) e Vicenza (396) e la maggiore a Venezia (550)

 

La raccolta differenziata sta crescendo

 In Italia dal 33,3 del 2009, la racc.diff.è salita al 42,3% del 2013, rimanendo però ben al di sotto del limite minimo stabilito dalla legge 296 del 2006, che era il 65% entro il 20112. La parte del leone la fa la frazione organica (verde e scarti alimentari che è il 42% del differenziato, poi viene la carta col 24,4 (insieme daa sole qs due frazioni fanno 2/3 del raccolto differenziato), poi il 12,8 del vetro, il 7,6 delle plastiche, il 5,1 del legno, l’1,9 dei metalli e lo 0,8 dei tessili.

 Nel 2012, in Italia, è andato in discarica il 41% dei rifiuti urbani, il 41% è stato riciclato e il 18%

 In Veneto la raccolta differenziata è decollata nel 1993 e da allora è cresciuta facendoci diventare la prima regione d’Italia e una delle eccellenze d’Europa:15,3% nel 1997, 28,4% nel 2000, 43,1% nel 2003, 49% nel 2006, 57,5% nel 2009, 62,6% nel 2012 e 64.6% nel 2013 (alla pari con Trentino AA); nel 2014 dovremo superare i 66%.

 In provincia di Treviso (la migliore d’Italia) si differenzia il 78,2%, in quella di Belluno il 70,7% (è la terza d’Italia, seconda è Pordenone col 75,8%), poi vengono le prov. di Vicenza (66,7%),Verona e Rovigo (64%), Padova (62%) e ultima Venezia col 56,3%

 I comuni piccoli e medi del Veneto sono da anni in vetta alle statistiche dei Comuni “ricicloni”:

nel 2013 Ponte nelle Alpi ha differenziato l’89%, Fonte 87,9, Roncade, Preganziol e Possagno87,7, Maser e S.Biagio di Callalta 87,2, Trevignano 86,8, Borso del Grappa 86,6, Asolo 86,2; masono varie altri 23 quelli che hanno superato quota 85% e non si contano più quelli che superano quota 80%.

 Purtroppo però ci pensano le tre città con più di 200mila abitanti, a rovinare la situazione:

Venezia, Verona e Padova hanno, rispettivamente, una produzione procapite di 614, 503 e 616 Kg/anno (ben superiori alla media regionale di 449) e una misera raccolta differenziata del 41,4% (Ve), 46,2% (Vr) e 45,9% (Pd). Non a caso sono le città gestite dalle aziende municipalizzate che hanno da sempre amato l’incenerimento.

 E’ evidente quindi che deve sparire dal Piano regionale Rifiuti attualmente in discussione in  Cons.reg, la previsione di rimettere in funzione l’inceneritore di Verona­Cà del Bue: non ce n’è alcun bisogno.

 E dopo quello di Venezia, va spento anche quello di Padova, per il quale l’allora sindaco-pinocchio Zanonato aveva promesso e non mantenuto di chiudere le prime due linee“obsolete e inquinanti” una volta avviata la terza linea. Ad oggi, nonostante mille incontri e conferenze, la popolazione non ha potuto leggere alcuna analisi delle emissioni di diossine e IPA dai camini di San Lazzaro.

 I rifiuti speciali

 Se i rifiuti urbani nel Veneto del 2013 sono 2,2 milioni di tonn. quelli speciali (cioè industriali, artigianali, agricoli, del grande commercio ed edili) sono circa 17 milioni, in leggera diminuzione dal 2008: 7,9 non pericolosi, 8 da costruzione e demolizione e 1 milione di pericolosi. In Veneto non c’è carenza di impianti, infatti si gestiscono più rifiuti di quelli che si producono: 9 milioni di non pericolosi contro una produzione inferiore a 8, di questi ben il 62% viene recuperato come materia (riciclo) mentre solo lo 0,3% viene incenerito. Inoltre, gli inerti da opere edili vengono riciclati per il 90%. In Veneto ci sono 1200 impianti di riciclo, per 12 milioni di tonn. di RS.

E’ sulla base di questi dati che negli anni scorsi, con una lunga enorme mobilitazione, i Comitati riuniti di Tv e Ve Rifiuti zero­riciclo totale (di cui mi onoro di essere uno dei tre portavoce) sono riusciti a bloccare i folli progetti di due inceneritori per un totale di 500mila tonn di RS a Dove bisogna intervenire sono invece gli Speciali pericolosi, sia per bloccare i traffici illegali (con sotterramenti in campagna, dal Veneto fino alla Campania, o sotto le strade in costruzione) sia per prevenirli e ridurli con le “migliori tecnologie disponibili” (le BAT)

 

Energia - Gianni Tamino

'ENERGIA'(Gianni Tamino)

 

L’energia e la materia nei sistemi naturali

 Il flusso di energia negli ecosistemi proviene quasi completamente dal sole: la luce  raggiunge le piante attivando il processo di fotosintesi, cioè la reazione dell’acqua con l’anidride carbonica da cui si ottengono gli zuccheri e ossigeno come scarto. L’energia degli zuccheri garantisce tutte le attività delle piante e, attraverso la catena alimentare, degli animali. Le reazioni chimiche necessarie alle diverse attività biologiche danno origine al metabolismo che, pur producendo un po’ di calore, non produce mai combustioni incompatibili con le caratteristiche dei viventi. Analizzando la biosfera ci accorgiamo che i suoi processi sono ciclici e i materiali vengono continuamente riciclati senza produzione di rifiuti: il ciclo del carbonio si basa sulla fotosintesi e sul suo processo complementare, la respirazione, in cui si ottiene energia ossidando gli zuccheri con l’ossigeno e ottenendo come sottoprodotti acqua e anidride carbonica (cioè le materie prime della fotosintesi). Questo vale per tutte le altre materie prime utilizzate dagli organismi viventi, (azoto, fosforo, acqua).

Dunque i sistemi naturali si basano su una fonte di energia esterna, il Sole, e su un continuo riciclo della materia senza produzione di rifiuti e senza combustioni.

 

I sistemi artificiali umani fanno esattamente il contrario

 Negli ultimi duecento anni circa, con la combustione dei fossili (prima carbone, poi petrolio e metano), si è avuta l’energia indispensabile per l’industrializzazione, dando impulso ad uno sviluppo dell’economia mai visto nella storia, ma determinando rifiuti ed inquinamento senza paragoni col passato.

Nelle attività industriali infatti, l’energia viene ricavata per la maggior parte da reazioni di combustione il cui calore - ottenuto per lo più da combustibili fossili cioè energia immagazzinata da lungo tempo nella Terra - viene trasformato o in energia elettrica o utilizzato direttamente nelle macchine. Ma, mentre in natura si utilizza energia (quella del sole) per riciclare la materia, evitandone l’esaurimento, le attività umane bruciano materia per ottenere energia, provocandone l’esaurimento ed accumulando rifiuti ed inquinamento. I combustibili sono una risorsa esauribile e il loro utilizzo modifica la composizione dell’atmosfera in quanto re-immettono nell’atmosfera il carbonio sottratto dai vegetali milioni di anni fa, insieme a varie sostanze nocive. In soli due secoli l’uomo ha radicalmente modificato il flusso di energia sul pianeta, bruciando sostanze che si erano accumulate nel corso di un lungo tempo e producendo quantità crescenti di rifiuti e di inquinanti incompatibili con i cicli biogeochimici. Il rischio è di rimanere senza materie prime e, contemporaneamente, avere irreversibilmente alterato il Pianeta e compromesso la salute dei suoi abitanti.

 Cambiamenti climatici, impatti ambientali e sanitari

 L’enorme impatto planetario delle combustioni legate agli utilizzi dell’energia è alla base sia dei cambiamenti climatici che dell’inquinamento diffuso in varie aree, soprattutto urbane e industriali, responsabile sia delle alterazioni degli ecosistemi e della perdita di biodiversità che dell’incremento di molte patologie, compresi i tumori, come recentemente evidenziato dall’Agenzia Internazionale per le Ricerche sul Cancro (IARC: l’inquinamento atmosferico ed il particolato fine vanno considerati, in base alle evidenze scientifiche,  cancerogeni per l’uomo  2013)

Il contesto internazionale

(Tratto da una serie di considerazioni di Mario Agostinelli e Giorgio Nebbia)

 I legami economici e l’egemonia degli Stati Uniti nei confronti dell’Europa e del Giappone potrebbero comportare un rilancio del carbone, del petrolio e del gas. Perfino l’alleanza atlantica si sta modulando su un ritorno ai fossili favorevole agli interessi a stelle e strisce. L’espansione degli impianti che estraggono gas da scisto (shale gas) e petrolio con il metodo del fracking, senza che sia stato posto alcun vincolo monetario e freno normativo alla devastazione ambientale, ha consentito alle compagnie americane di vendere localmente a prezzi più bassi rispetto a quelli di importazione.

E’ in atto, di conseguenza, un crollo della domanda interna di carbone e il contemporaneo tentativo di esportare in Asia e in Europa il combustibile più sporco, a prezzi stracciati, per salvare un'industria nazionale da 40 miliardi di dollari.

Le nuove tecnologie di estrazione e di impiego dei fossili incontrano però crescenti resistenze e sollevano obiezioni prima ancora del loro impiego massiccio. Vale per le perforazioni e per lo spappolamento delle rocce per ottenere  gas di scisto e per le ipotesi di sequestro della CO2 a valle della combustione del carbone. Essendo tuttora imprecisato l’impatto ambientale di questi processi - anche se è fuor di dubbio che l’analisi del ciclo di vita di filiere così complesse ne metta in discussione la praticabilità - è un atteggiamento culturale e politico quello che fa propendere per la loro affermazione o il loro rifiuto. Così, nel caso dello shale gas, la prospettiva di una futura indipendenza energetica e la indebita tolleranza per l’esternalizzazione dei costi ambientali, fa assumere al governo americano una posizione di assoluto sostegno.

Gli alti prezzi internazionali hanno reso finora felice la Russia che ha potuto esportare petrolio e gas naturale con forti guadagni. Ma nello stesso tempo il mondo è andato cambiando: i principali paesi importatori occidentali sono stati investiti da una crisi che ha spinto a ridurre i consumi di petrolio e di gas, facendo diminuire i guadagni di tutti i paesi esportatori

A questo punto è arrivata la reazione dei paesi del Golfo Arabico, specialmente l’Arabia Saudita, e degli altri paesi esportatori di petrolio, che fanno parte dell’OPEC. Per poter continuare a vendere petrolio bisognava incoraggiare i consumi dei nuovi paesi esportatori oltre che dei tradizionali importatori, diminuendo il prezzo che è sceso da circa 100 a meno di settanta dollari al barile. Grande dolore per le società  americane perchè, con questi prezzi, non risulta più conveniente estrarre petrolio dagli scisti. Ma comunque grande è il rilancio dei consumi petroliferi!

 

La disponibilità di energia nel pianeta

 L’insieme delle fonti fossili e del nucleare, estraibili in modo conveniente (cioè consumando meno energia di quella estratta), rappresentano una quantità limitata di energia disponibile che, ai tassi di consumo attuale, potrebbero bastare al massimo per 100 anni. Al contrario le energie rinnovabili sono ben più consistenti e non vanno soggette ad esaurimento: la sola energia solare inviata ogni anno è dell’ordine di 5-10.000 volte quella consumata dagli esseri umani per tutte le loro attività, come si vede dalla figura seguente (ovviamente ha senso utilizzarne una frazione estremamente piccola, considerando che le piante, pur utilizzando solo una frazione compresa tra l’1% e l’1 per mille, garantiscono l’energia per tutta la biosfera):

 

I consumi di energia stanno diminuendo

(effetto della crisi, oltre che di politiche di risparmio)

 Qui di seguito parleremo di energia totale e di energia elettrica, ricordando che l’energia elettrica è un percentuale limitata dell’energia totale consumata: la maggior parte dell’energia è consumata per produrre calore o per far funzionare i sistemi di trasporto, impiegando direttamente fonti fossili o fonti rinnovabili. Mentre per la produzione di energia elettrica si consuma intorno al 35% delle fonti totali (dato che la combustione produce calore, trasformato in energia elettrica con un rendimento intorno al 30/40%), l’utilizzo di energia elettrica rappresenta nel Veneto poco più del 20% degli usi finali.

 

Consumi mondiali

Nel 2008, prima della crisi economica mondiale, i consumi totali di energia erano pari a 11,3 miliardi di TEP (ton. equivalenti di petrolio). Nel 2010 i consumi sono diminuiti nelle aree dell’Europa e del Nord America, ma aumentati in altre parti del mondo, soprattutto in Cina.

In percentuale i consumi mondiali di energia, al 2010, erano così suddivisi: 87% fonti fossili, 5,22% nucleare, 7,78 rinnovabili (ora questa quota è notevolmente aumentata).

Nel 2010 i consumi mondiali di energia elettrica erano circa 20 milioni di GWh (o 20.000 TWh).

 

Consumi italiani

I consumi globali di energia in Italia sono passati da 179 MTEP (milioni di ton. equivalenti di petrolio) nel 2005 a 155 MTEP nel 2012, di cui il 21% prodotto nel nostro paese, mentre il resto è importato. I consumi di energia elettrica sono passati da poco meno di 330.000 GWh nel 2008 a meno di 300.000 nel 2013

I consumi nel Veneto

I consumi complessivi di energia sono passati da oltre 11.500 TEP del 2008 (anno in cui incomincia la crisi economica) a un valore stabile dal 2010 al 2013 intorno a 11.000 TEP. Il Veneto presenta una forte dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili (petrolio, gas, carbone) per la produzione di energia elettrica.

Se confrontiamo il consumo di energia elettrica nel Veneto tra il 2008 e il 2012 verifichiamo anche in questo caso un significativo calo, pari all’8%, passando da 33.594 a 30.771 GWh (con un ulteriore calo nel 2013). Di questi, 16.355 GWh sono autoprodotti in Regione (nel 2013 aumentati a 17.825, di cui 8.000 ottenuti da fonti rinnovabili).

 

La produzione di energia da fonti rinnovabili è in aumento

 

Nel 2013 su 278.833 GWh elettrici prodotti in Italia, 112.010 sono stati ottenuti da fonti rinnovabili (cioè più del 40%, di cui quasi 22.000 ottenuti con il fotovoltaico); più del doppio rispetto al 2008. Anche nel Veneto siamo passati da 4550 GWh ottenuti da fonti rinnovabili (quasi esclusivamente idroelettrico) nel 2008 a circa 8.000 nel 2013 (di cui oltre 1700 da fotovoltaico).

 

Non manca la capacità di produrre energia elettrica

 

L’Italia ha una potenza elettrica installata doppia rispetto alla domanda di punta. Significa che ha capacità di produrre il doppio di quanto può servire nei momenti di maggiore consumo. Infatti la massima domanda è soddisfatta con 55 GW di potenza, ma la potenza complessiva delle centrali elettriche installate in Italia è pari a oltre 120 GW; anche considerando che una parte delle centrali è periodicamente in manutenzione, che altre possono avere malfunzionamenti e altre (solare, eolico, idrico) sono discontinue, tuttavia vi è chiaramente un eccesso di potenza installata.

Non abbiamo bisogno di nuove centrali, ma di sostituire le centrali più inquinanti con altre alimentate con fonti veramente rinnovabili e sostenibili.

Il 16 ottobre 2014 l'a.d. di Enel, Francesco Starace, ha annunciato che, a causa di overcapacity, calo della domanda e concorrenza delle rinnovabili, Enel potrebbe chiudere o riconvertire 23 centrali termoelettriche alimentate a fonti fossili, pari ad oltre 11 GW di potenza. Tra le idee dell'azienda anche quella di far entrare le rinnovabili nel mercato del dispacciamento (N.B. E’ necessario produrre, istante per istante, la quantità di energia richiesta dall‘insieme dei consumatori -famiglie e aziende- e gestirne la trasmissione in modo che l’offerta e la domanda siano sempre in equilibrio, garantendo così la continuità e la sicurezza della fornitura del servizio. La gestione di questi flussi di energia sulla rete si chiama dispacciamento).

 

Quali rinnovabili, dove e quando

 Da un punto di vista strettamente fisico, le fonti energetiche (rinnovabili e non) hanno la propria origine comune nell'energia solare. Il sole non è soltanto l'ovvia sorgente dell'energia solare, ma è indirettamente il padre anche di tutte le altre forme di energia, ad eccezione di quella geotermica e delle maree.

Il moto dei venti, ad esempio, è innescato dalle differenze di temperatura in atmosfera, così come l'evaporazione delle acque e il ciclo delle pioggie, causate dalla radiazione solare, sono alla base della fonte idroelettrica. Oltre ovviamente a tutto il mondo vegetale (biomassa) che trasforma l'anidride carbonica in sostanze nutritive grazie al processo di fotosintesi, impensabile in assenza di luce solare.    

La principale caratteristica delle fonti rinnovabili è, in linea generale, una disponibilità e una capacità di rigenerazione superiori al consumo. Quindi la fonte deve rigenerarsi nello spazio e nel tempo di utilizzo.

Anche fonti fossili come gas, petrolio e carbone, che originano da fenomeni naturali di degradazione della biomassa, presentano una certa “rinnovabilità”; il problema è che i loro cicli di rigenerazione non si misurano col calendario umano, bensì in ere geologiche!

Ma anche le biomasse che provengono da lontano o il cui utilizzo provoca l’alterazione di ecosistemi (distruzione di boschi e foreste) non sono sostenibili.

Così l’utilizzo delle acque può compromettere ecosistemi e naturalezza dei fiumi, il fotovoltaico e l’eolico possono alterare il paesaggio e la funzione agricola dei campi.

 

La questione delle biomasse

 

Le biomasse possono essere costituite da residui delle coltivazioni destinate all’alimentazione umana o animale, da piante espressamente coltivate per scopi energetici (produzione di biodiesel o alcol), da residui forestali, da scarti di attività industriali (come i trucioli di legno), da scarti delle aziende zootecniche o anche dalla parte organica dei rifiuti urbani. I possibili utilizzi delle biomasse vanno dalla semplice combustione di legname per produrre calore, all’impiego di carburanti alternativi come il biodiesel o il bioetanolo nei mezzi di trasporto fino alla produzione di calore e/o elettricità in centrali termoelettriche.

Ma in realtà si può parlare di fonte rinnovabile solo se si riproducono nel tempo e nello spazio in cui vengono utilizzate: in un anno si può togliere all’ambiente tanti quintali di biomassa, quanti in quell’anno quel territorio riprodurrà. Non è rinnovabile la deforestazione del sud del mondo o il disboscamento delle nostre montagne.

Per capire se le biomasse coltivate possono essere considerare sostenibili e rinnovabili è bene considerare i flussi di energia in agricoltura. Le calorie contenute nei vegetali un tempo derivavano quasi esclusivamente dall’energia solare, salvo l’energia umana e animale utilizzata per il lavoro dei campi (comunque garantita dal cibo così prodotto). Ma dopo la rivoluzione industriale, si cercò non solo di aumentare la superficie coltivata, ma anche di aumentarne la resa produttiva, impiegando altre fonti di energia oltre quella solare.

Questa energia aggiuntiva è fornita dai combustibili fossili sotto forma di fertilizzanti (petrolio e gas naturale, principale materia prima per la produzione di urea), pesticidi (industrie agrochimiche) ed energia per la lavorazione del terreno, per i trasporti, per l’irrigazione, per trasformazioni, ecc. (petrolio).  Secondo Giampietro e Pimentel la Rivoluzione Verde ha aumentato di circa 50 volte il flusso di energia, rispetto all’agricoltura tradizionale: nel sistema alimentare degli Stati Uniti per produrre una caloria di cibo consegnato al consumatore sono necessarie fino a 10 calorie di energia fossile (2 se si tratta di cibo solo vegetale). Questi dati dimostrano anche che la superficie destinata all’agricoltura industrializzata non solo non è in grado di assorbire la CO2, come potrebbe farlo un bosco di dimensioni equivalenti, ma anzi produce più CO2 di quanta possa assorbire.

Inoltre, dato il basso rendimento energetico delle piante (meno dell’1% dell’energia solare è trasformata in calorie nella biomassa vegetale) e i consumi di energia fossile per coltivarle, il bilancio energetico rischia di essere negativo e se si volesse coltivare piante come fonte di energia per gran parte dei nostri consumi, dovremmo avere a disposizione più pianeti Terra trasformati in coltivazioni energetiche (ovviamente distruggendo foreste e non producendo cibo!). A questo proposito Mario Giampietro, in un Convegno tenuto a Padova nel 2006, ha spiegato che per coprire il 10% dei consumi energetici italiani servirebbe una superficie tre volte superiore alla terra attualmente arabile nel nostro paese, che non ha eccedenze di cibo prodotto, ma anzi importa cereali dall’estero.

In realtà dal punto di vista energetico ed ambientale le centrali a biomasse sono un fallimento e lo sarebbero anche dal punto di vista economico, se non fossero finanziate con incentivi pagati da noi contribuenti (CIP6, certificati verdi, ecc.).

Le centrali termiche, come quelle a biomasse inquinano, producendo ossidi d’azoto, gas ed effetto serra, polveri sottili e microinquinanti, come le diossine; pertanto la preoccupazione della popolazione è più che giustificata.

Dunque, il recupero di energia dalle biomasse è una possibilità solo a patto che la materia prima sia prelevata in loco e nel massimo rispetto degli equilibri ambientali (manutenzioni dei boschi, residui di segherie) e che la produzione di energia (calore ed eventualmente energia elettrica) avvenga in impianti di piccola taglia. Non è infatti possibile un ciclo ad “impatto zero” su larga scala, basato sulle biomasse. Quanto alle frazioni organiche dei rifiuti da bruciare nei cosiddetti termovalorizzatori (cioè inceneritori), è decisamente meglio il recupero di energia attraverso la produzione di compost, che restituisce all’ambiente materia organica e riduce il carbonio in atmosfera.

 

Quanti impianti a biomasase nel Veneto

 

Leggendo il Bollettino GSE (Gestore Servizi Energetici) del primo semestre 2013 si può verificare che alla data del 30 giugno 2013 nel Veneto vi erano 310 impianti tra centrali a biomasse solide, liquide e biogas in esercizio e 39 in progetto; ovviamente oggi gli impianti saranno più di 350.

 

Il vero nodo: consumare meno, risparmiare, aumentare l’efficienza

 La nostra economia di mercato considera inevitabile una continua crescita delle produzioni e dei consumi e questa crescita viene interpretata come sviluppo: il mondo economico sembra ossessionato dall’idea dello sviluppo illimitato. Ma non ci può essere crescita indefinita né dei consumi, né della produzione, né dell’uso di energia. Queste tre condizioni sono in contrasto con le regole fondamentali dell’ecologia. La via d’uscita sta nello studio e nell’utilizzo dei processi che hanno permesso agli ecosistemi di utilizzare per tutto questo tempo un flusso di energia e di materia: utilizzare come fonte di energia il Sole o comunque fonti derivate dal Sole (acqua, vento, ecc.), utilizzare processi produttivi ciclici, senza produzione di rifiuti e poi evitare le combustioni. Ma sarebbe un errore pensare semplicemente di sostituire all’attuale impiego di petrolio e metano il solare e l’eolico: le energie rinnovabili potranno rappresentare una quota rilevante nel bilancio energetico globale solo se accoppiate ad un parallelo grande sviluppo del risparmio e dell’efficienza energetica, in grado di far diminuire i consumi, grazie anche ad innovazioni tecnologiche.

 

Nuova politica urbanistica e nuova edilizia, nuova mobilità

 Come afferma il rapporto “Produzione termoelettrica ed emissioni CO2” (ISPRA, Rapporti 135/2011), in Italia il settore residenziale delle costruzioni assorbe circa il 42% del consumo finale di energia e produce il 35% delle emissioni di gas serra, nella fase di utilizzo.

Occorre ripensare dunque le città e l’edilizia in funzione dei cittadini e del minor consumo di energia. Ad esempio gli ambiti di intervento possono essere:

Risparmio energetico in edilizia sia a livello di edifici residenziali, che costituiscono la maggior parte del patrimonio edilizio di una cittadina, sia per edifici pubblici ed edifici produttivi. Risparmio energetico vuol dire ottimizzazione dei costi e benessere per il cittadino. Ad esempio si possono usare i criteri di Casaclima di Bolzano.

Vi sono poi le case passive e perfino le case a energia quasi zero. In Germania le case passive (l’unico settore trainante nell’edilizia tedesca) non possono superare i 15 KWh/m2anno, mentre in Italia, con un clima molto più mite, si calcola che, in media, si consumino 150-200 KWh/m2anno.

Gli edifici a energia quasi zero sono strutture in grado di utilizzare pochissima energia per il loro funzionamento e progettate seguendo criteri costruttivi all’avanguardia, rispondenti alla direttiva europea 2012/27/UE. 

Risparmio energetico in città attuando miglioramenti alle infrastrutture, all’illuminazione pubblica utilizzando in modo sempre più diffuso ed efficiente le potenzialità delle energie rinnovabili.

Mobilità sostenibile attraverso il potenziamento del trasporto pubblico locale di ogni tipo, in relazione alle particolari esigenze di ogni singola città. Sviluppo della mobilità dolce, realizzando opportuni percorsi pedonali e ciclabili realmente funzionali e fruibili.

 

Introdurre nei costi le esternalità

 Le rinnovabili, anche senza incentivi, sarebbero già economicamente convenienti rispetto alle fonti fossili. Se produrre elettricità da carbone al momento costa meno che ottenerla ad esempio da un impianto fotovoltaico, è infatti solo per una sorta di errore nel metodo di calcolo, una distorsione causata dal nostro sistema politico-economico: le esternalità negative vengono scaricate sulla collettività, cioè a chi produce energia non vengono fatti pagare i danni causati ad esempio dalle emissioni climalteranti e inquinanti della combustione del carbone, con danni all’ambiente e alla salute.

Da una ricerca del Journal of Environmental Studies and Sciences dell’anno scorso, condotta sul sistema elettrico americano, emerge che, includendo nei costi del kWh le esternalità negative, è economicamente molto più conveniente installare nuova potenza da eolico e fotovoltaico piuttosto che da carbone e che addirittura avrebbe economicamente senso chiudere centrali a carbone esistenti per rimpiazzarle con sole e vento.

 

Dal modello accentrato al sistema decentrato

 Vi è uno scontro in atto tra chi, da una parte vuole non solo rilanciare l’utilizzo delle fonti fossili (si pensi al carbone e al tentativo di “raschiare il fondo del barile” con l’utilizzo di scisti e argille bituminosi, di non facile utilizzo e a costi ambientali ed energetici crescenti), ma riproporre anche il modello accentrato, costituito da grandi impianti di produzione, in mano a poche società energetiche, che distribuiscono l’energia su tutto il territorio e, invece, dall’altra chi propone di non rimanere a metà del guado tra centrali a fonti fossili e un ampio parco di impianti rinnovabili già esistenti (solare, eolico, idrico, ecc.), per imboccare la strada del tutto rinnovabile, associato a serie politiche di risparmio energetico, con impianti diffusi su tutto il territorio e a gestione locale, interconnessi a rete.

La diffusione sul territorio di impianti di produzione energetica da fonti rinnovabili porta a un cambiamento radicale sul sistema di distribuzione e trasmissione dell’energia prodotta attraverso le smart grids.La rete elettrica nel nuovo sistema non si configura più come un percorso unidirezionale di trasmissione e di distribuzione di energia dalle grandi centrali ai clienti finali, ma diventa una rete intelligente in grado di accogliere flussi di energia bidirezionali.    

Occorre migliorare le politiche degli incentivi alle vere rinnovabili (eliminando CIP 6 e certificati verdi per inceneritori e biomasse, ma anche per il fotovoltaico in aree sbagliate), ricorrendo anche a sgravi fiscali, per garantire una reale evoluzione verso una filiera economicamente ed energeticamente conveniente delle fonti rinnovabili e sostenibili, dell’efficienza e del risparmio.

Un altro problema da affrontare verso una società fondata su fonti rinnovabili, ma discontinue, come sole e vento, è quello dell’accumulazione dell’energia nei momenti in cui non viene utilizzata. Le diverse tecniche di accumulo vanno dai tradizionali bacini di pompaggio (dove l’energia in esubero è utilizzata per pompare l’acqua da livelli più bassi a bacini a quote superiori), alle batterie, alle celle a combustibile e all’accumulo di idrogeno, che si presenta sempre più come un interessante vettore e accumulatore di energia non direttamente utilizzata.

In ultima analisi occorre pensare a piani energetici a vari livelli, nazionale, regionale e locale, che rispondano alla domanda di quale e quanta energia la nostra società ha bisogno, non per accontentare le società energetiche ma per rispondere alle reali esigenze dei cittadini. Piani sottoposti a pubblica valutazione dei cittadini.

 

La proposta di Piano Energetico del Veneto (Allegato A, Dgr n.1820 del 15/10/2013)

 

La proposta risulta ampiamente superata dai fatti, dato che si riferisce alla situazione precedente al 2010, quando non vi era ancora stato l’ampio sviluppo di fonti rinnovabili degli ultimi tre anni e la riduzione dei consumi, in conseguenza della crisi. E’ dunque evidente che gli obiettivi al 2020 del “pacchetto energia”, stabiliti dalla Direttiva 2009/28/CE, sono insufficienti e già superati con ampio anticipo: infatti l’obiettivo dl 17% entro il 2020 di energia da fonti rinnovabili è di fatto già raggiunto dall’Italia. Dunque ci si poteva aspettare obiettivi ben più ambiziosi. Un altro errore del Piano è rappresentato dalla erronea ed eccessiva valutazione dei futuri consumi.

Accanto al già modesto obiettivo per le rinnovabili va poi evidenziato lo scarso ruolo di tutte le fonti, escluse le biomasse e il biogas. Non c’è infine una adeguata indicazione di come raggiungere seri risparmi ed aumentare l’efficienza energetica.

 

I nostri NO

 

  • No ai combustibili fossili ed in particolare no al carbone (vedi Marghera e l’ipotesi di Porto Tolle)
  • No agli impianti a biomasse e ai loro incentivi (promossi dalla Regione Veneto)
  • No al modello energetico accentrato (come proposto nel Piano Energetico del Veneto)
  • No alle trivellazioni per la ricerca e sfruttamento di gas e petrolio

 

I nostri SI

  • Si alla chiusura delle centrali elettriche inquinanti
  • Si alla riduzione dei consumi, all’efficienza energetica e al risparmio
  • Si alle vere rinnovabili, ma in luoghi idonei
  • Si al modello decentrato (e smart grids)
  • Si a edilizia e nuove costruzioni a consumo zero
  • Si alla mobilità pubblica efficiente
  • Si a Piani Energetici (Regionale e comunali) a misura di risparmio ed efficienza, frutto di una pubblica discussione con i cittadini
  • Si all’introduzione del costo delle esternalità nel prezzo delle fonti energetiche  


RELAZIONI DEI FACILITATORI E INTERVENTI FINALI


http://youtu.be/NlhheR1L6Ho Don Albino

http://youtu.be/NlhheR1L6Ho03m37s Carlo Costantini resoconto gruppo Terra

http://youtu.be/NlhheR1L6Ho23m35s Alessandro De Zanche resoconto gruppo Acqua

http://youtu.be/NlhheR1L6Ho28m40s Vincenzo Pellegrino resoconto gruppo Acqua

http://youtu.be/NlhheR1L6Ho40m18s Paolo Lugnan resoconto gruppo Aria

http://youtu.be/NlhheR1L6Ho47m45s Paolo Cacciari resoconto gruppo Energia

http://youtu.be/NlhheR1L6Ho1h1m11s Don Albino chiede interventi lampo

http://youtu.be/NlhheR1L6Ho1h4m9s Giuliana Beltrame

http://youtu.be/NlhheR1L6Ho1h5m3s Elvio Gatto CoVePa

http://youtu.be/NlhheR1L6Ho1h7m22s Gianluigi Salvador

http://youtu.be/NlhheR1L6Ho1h9m29s Giulio Labbro Francia

http://youtu.be/NlhheR1L6Ho1h11m23s Giovanna Bruno ???

http://youtu.be/NlhheR1L6Ho1h12m41s Patrizia Corrà

http://youtu.be/NlhheR1L6Ho1h13m45s Maria Gioconda Frassinelli

http://youtu.be/NlhheR1L6Ho1h14m20s Daniele Todesco

http://youtu.be/NlhheR1L6Ho1h15m13s Don Albino

http://youtu.be/NlhheR1L6Ho1h16m9ss Carlo Giacomini

http://youtu.be/NlhheR1L6Ho1h17m53s Alessandro Angrilli Comitato difesa alberi e territorio

http://youtu.be/NlhheR1L6Ho1h20m24s ???

http://youtu.be/NlhheR1L6Ho1h20m45s Massimo Follesa

http://youtu.be/NlhheR1L6Ho1h23m11s Don Albino

Documenti Originali Relatori

Documenti Originali Facilitatori

Comunicato stampa di presentazione della Convention “Noi siamo Terra: Veneto da vivere”

Giovedì 27 novembre 2014, alle ore 11.30, si terrà una conferenza stampa presso la sede dei Beati i costruttori di Pace in via A. da Tempo, sulla Convention “Noi siamo Terra: Veneto da vivere”.
L'atteggiamento generale dell'attuale economia propone progetti e attività come se il Pianeta fosse quello di vent'anni fa. Che fare perché il Veneto si adatti alle emergenze e alle urgenze della Terra?
Si ritrovano a discuterne i comitati e le associazioni che si occupano della tutela dell'ambiente nel Veneto - coordinati in rete dopo la manifestazione regionale a Venezia del 30 Novembre 2013 - alla Convention che si svolgerà sabato 29 novembre 2014 presso il Patronato di San Carlo a Padova. Saranno quattro i tavoli tematici di lavoro attorno ai quali si discuteranno interventi in difesa dell'ambiente e proposte concrete per il futuro : Terra, Acqua Aria, Energia. Relatori: don Albino Bizzotto, Luisa Calimani, Franco Zecchinato, Maria Rosa Vittadini, Lucia Ruffato, Nicoletta Regonati, Franco Rigosi, Andrea Zanoni, Michele Boato, Gianni Tamino.


Questo spazio è dedicato alla costruzione del documento conclusivo del gruppo ACQUA, il verbale della discussione del 29/11 è all'inizio delpenna.gifforum di discussione ACQUA




Relazione del Facilitatore a incontro 29-11

Facilitatore: Vincenzo Pellegrino

verbalizzatore: Alessandro de Zanche

 

La prima considerazione fatta dal gruppo di lavoro è stata quella di constatare la vastità degli argomenti legati all’elemento Acqua, indispensabile, insieme agli altri posti a base delle attività dei gruppi, la Terra, l’Aria e l’Energia, alla vita sul nostro pianeta e ovunque questa si basi sull’atomo di carbonio.

Nel prendere atto quindi che l’acqua è innanzi tutto un essenziale componente naturale dell’ecosistema, a prescindere dalle utilità che può ricavarne l’uomo, si è deciso di adottare una “griglia interpretativa” che ci consentisse in qualche modo di circoscrivere e approcciare l’elemento Acqua in particolare in relazione al suo rapporto con la vita umana vista come componente dell’ecosistema.

Questo schema interpretativo fa riferimento  ai due opposti risvolti sotto i quali l’acqua può essere vista: quello positivo legato ai molteplici, fondamentali usi a cui essa è destinata dall’uomo e quello negativo che ne fa un elemento naturale del territorio di difficile controllo, potenziale fonte di distruzione e morte.

L’ACQUA COME FONTE DI VITA E BENESSERE

USI DELL’ACQUA

Circa i principali usi che l’uomo fa dell’acqua, essi sono stati elencati in base alla quantità che ad essi è destinata. Essi sono:

  • Agricolo: Irriguo e zootecnico;
  • Industriale;
  • Idroelettrico;
  • Civile: Igienico e potabile.

Per ciascuno di detti usi si sono svolte alcune considerazione in ordine alla possibilità di migliorarne l’efficienza e ridurre gli sprechi.

Uso irriguo e zootecnico

In merito all’uso irriguo delle acque esso, insieme all’impiego nel settore zootecnico, assorbe circa il 60% degli attingimenti complessivi d’acqua dolce in Italia. L’ambito agricolo è quindi quello che vede il maggior impiego d’acqua nel nostro paese ma anche nel mondo, con una percentuale sul totale degli usi che a livello mondiale sale sino al 70%.

Circa l’uso prettamente irriguo, cioè quello destinato alla coltivazione di piante, la sua entità dipende da una serie di fattori: il clima, le caratteristiche dei suoli, le pratiche colturali e le tecniche di irrigazione. Mentre i primi due fattori sono indipendenti dall’uomo, i secondi due possono essere oggetto di intervento ai fini della razionalizzazione e riduzione del consumo. Questo è possibile attraverso la scelta di colture che meglio si adattano al clima ed alla qualità dei terreni e l’adozione di tecniche di irrigazione che consentano una riduzione della quantità d’acqua necessaria. I metodi di irrigazione oggi utilizzati sono i seguenti: per sommersione, per scorrimento, per aspersione o a pioggia, per micro portate o a goccia, per subirrigazione, elencati con riferimento alla quantità decrescente d’acqua necessaria. Gli ultimi due sistemi di irrigazione, quelli che consentono i maggiori risparmi di risorsa idrica, sono quelli che hanno maggiori costi di realizzazione degli impianti e trovano quindi applicazione solo nell’ambito di coltivazioni di tipo intensivo quali ortaggi, floricoltura ed in genere coltivazioni in serra.

In merito all’uso agricolo dell’acqua vi è da dire che l’aumento della produzione di biocarburanti a cui si è assistito negli ultimi decenni è causa di grave sottrazione di risorse non solo in termini di suolo ma anche d’acqua.

L’uso zootecnico, cioè quello destinato all’allevamento del bestiame, ha visto in Italia un forte incremento intorno agli anni ’70 – ’80 del secolo scorso, quando gli stili alimentari del popolo italiano sono radicalmente cambiati a causa dell’acritica adozione di diete d’importazione, che hanno visto in particolare un forte incremento del consumo di carne. Questa trasformazione delle abitudini alimentari in atto a livello globale, con sempre più ampi strati di popolazione che passa da una dieta a preponderante base vegetale ad una con maggior consumo di carne, comporta un fortissimo incremento delle superfici agricole necessarie (quelle che servono alla produzione dei mangimi per gli animali che a loro volta sono destinati all’alimentazione umana) e della risorsa idrica necessaria tanto ad irrigare le maggiori superfici coltivate che ad abbeverare il bestiame.

Uso industriale ed energetico

Questi usi in Italia assorbono circa il 25% del fabbisogno totale, il 20% nel mondo, e possono suddividersi in uso industriale propriamente detto, quello in qui l’acqua entra nel ciclo produttivo vero e proprio o viene impiegata per il lavaggio o il raffreddamento degli impianti, ed uso energetico cioè in impianti idroelettrici  o termoelettrici, come vettore di energia cinetica nei primi e come elemento di trasformazione dell’energia termica in energia cinetica nonché di raffreddamento dei macchinari nei secondi.

Questi usi comportano un inquinamento chimico-fisico per gli usi industriali e fisico per quello energetico, con un forte incremento della temperature delle acque restituite rispetto a quelle prelevate. L’impiego idroelettrico è quello meno impattante in quanto non dissipa né altera la risorsa idrica utilizzata; tuttavia gli impianti idroelettrici tradizionali, funzionanti attraverso la derivazione dal corso d’acqua di prelievo di una certa quantità d’acqua che vie restituita al corpo idrico solo più a valle, determinano una riduzione dei deflussi per il tratto sotteso dalla derivazione stessa, riduzione che se eccesiva può determinare gravi danni all’ecosistema fluviale con moria della fauna ittica e delle specie idrofile. Per questa ragione l’attuale normativa in materia di derivazioni d’acqua superficiale prevede l’obbligo di mantenimento, in qualsiasi regime idrologico, del deflusso minimo vitale. Per ovviare a questo problema, sono recentemente stati messi a punto impianti di produzione “senza derivazione”, cioè sfruttando, attraverso coclee posizionate entro l’alveo del corso d’acqua, la portata fluente dello stesso. I principali limiti di tali impianti sono quelli dello scarso dislivello sfruttabile e della necessità di realizzare entro l’alveo, i manufatti di sfruttamento.

Nel corso della discussione si è evidenziato come, a causa degli incentivi alla produzione idroelettrica previsti dalla normativa vigente, si sia assistito in tempi recenti ad un rinnovato interesse per questo genere di impianti, interesse che porta spesso a proporre e a realizzare impianti in luoghi di notevole pregio naturalistico ed ambientale pur di sfruttare anche modeste portate e limitati salti d’acqua.

Usi civili

Gli usi civili comprendono quello potabile, quello igienico e quello di annaffiamento di orti e giardini. In termini percentuali essi valgono circa il 15 % del consumo complessivo d’acqua dolce, il 10% a livello mondiale. II loro approvvigionamento viene garantito attraverso impianti acquedottistici più o meno estesi ed interconnessi.

Come noto, gli usi civili dell’acqua sono stati al centro di un forte dibattito che ha contrapposto i fautori della privatizzazione del servizio idrico ai comitati di cittadini impegnati per mantenerne il carattere pubblico. L’Acqua rappresenta senz’altro il più tipico esempio di “Bene comune” secondo l’accezione che viene attribuita a questo termine, in contrasto con l’uso della parola “risorsa” che viene spesso associato all’acqua, con ciò connotandola in modo economicistico quale merce.

La principale normativa in materia è rappresentata dal datato R.D. 11.12.1933 n°1775 in materia di Acque ed Impianti elettrici e dalla così detta legge Galli, 05.01.1994 n°36, che attribuisce a tutte le acque il carattere pubblico , ne vincola la salvaguardia e l’uso a principi di solidarietà e sancisce la priorità dell’uso umano su tutti gli altri usi. La principale innovazione introdotta dalla legge 36/1994 è il concetto di Servizio idrico integrato in base al quale è un unico soggetto a gestire l’uso dell’acqua a scopi civili dall’emungimento alla potabilizzazione, dalla raccolta dei reflui alla loro depurazione sino allo scarico (restituzione) nei corpi idrici. Tale normativa si prefiggeva anche lo scopo di ridurre il grande frazionamento che caratterizzava il settore acquedottistico in ciò riuscendo: le società di gestione erano circa 13.500 nel 1994 a fronte delle attuali 90.

Come si diceva, purtroppo, negli ultimi anni la spinta alla privatizzazione del servizio idrico a fini speculativi e di profitto privato ha avuto un forte incremento sfruttando in particolare gli obblighi previsti dalla normativa europea antitrust la quale, nell’affidamento di lavori o servizi, impone il rispetto di principi concorrenziali e di libero mercato.

Grazie ad una forte mobilitazione popolare, i Comitati per l’Acqua sono riusciti ad ottenere l’indizione del referendum che nel giugno 2011 sancì, tra l’altro, l’abrogazione della norma che imponeva la privatizzazione del Servizio idrico integrato e la remunerazione in bolletta del capitale investito.

Purtroppo, nonostante l’esito del referendum, continua in Italia, attraverso l’introduzione di norme surrettizie, il tentativo di inserire a tutti i costi il profitto privato nell’ambito di questo servizio più che essenziale. Questo tentativo è appoggiato dalla maggioranza delle forze politiche presenti oggi in Parlamento e dimostra in modo chiaro quanto gli interessi privati e particolari siano in grado, attraverso azione di lobbying e spesso di vera e propria corruzione, di imporsi sugli interessi pubblici e collettivi.

Ad aggravare ulteriormente il quadro di profonda ingiustizia verso il quale sta andando il “diritto all’acqua” in Italia, vi è da segnalare l’introduzione del “distacco per morosità” anche incolpevole della fornitura di acqua potabile ed il suo divieto ad alloggi occupati od occupati senza titolo, anche da famiglie con minori o anziani.

Il gruppo di lavoro si è unanimemente espresso affinché sia indicata la necessità che l’acqua non debba essere in alcun modo considerata una merce bensì un Bene comune naturale essenziale alla vita sulla terra, compresa quella umana. Di essa deve essere garantita la natura intrinsecamente pubblica e la capacità di soddisfacimento dei bisogni in base ad una scala di priorità a partire da quelli essenziali.

Rappresentanti dei comitati per l’acqua partecipanti al gruppo hanno ricordato che già da qualche tempo è stata lanciata una campagna di mobilitazione, chiamata “Campagna per l’obbedienza civile”, attraverso la quale si intende dare effettiva attuazione agli esiti del referendum laddove questi siano invece disattesi dalle società di gestione, stralciando dalla bolletta i costi di remunerazione del capitale eventualmente presenti in quanto dichiarati illegittimi dal referendum.

La battaglia che si sta consumando in Italia ed in molti altri luoghi del mondo per la difesa della natura pubblica dell’acqua è emblematica della lotta dei cittadini a difesa dei diritti essenziali e dei principi democratici contro il tentativo di ricavarne profitto che il capitale finanziario sta perseguendo con grande ostinazione.

L’ACQUA COME CAUSA DI DISTRUZIONE E DI MORTE

Così come l’acqua è fonte di vita e risorsa fondamentale per l’agricoltura e molte altre attività umane, essa può trasformarsi in causa di distruzione e di morte. Ciò può verificarsi e purtroppo si verifica per gli effetti dannosi che le precipitazioni meteorologiche possono causare tanto in termini di dissesto idrogeologico che di problemi idraulici.

Un’altra grave problematica connessa all’Acqua, o meglio a suoi determinati utilizzi, è quella relativa al suo inquinamento legato in particolar modo, in termini qualitativi, all’impiego industriale e, in termini quantitativi, all’uso agricolo.

Così come l’eccesso e la concentrazione delle precipitazioni, anche la carenza d’acqua dolce è fonte di gravissime problematiche.

IL DISSESTO IDROGEOLOGICO

Con questo termine si intende, come dice il nome, l’insieme dei danni che una cattiva integrazione tra elemento Acqua ed elemento Terra porta con se. Si parla quindi dell’abnorme processo erosivo che colpisce in particolare le pendici montane e collinari così come  di frane, smottamenti, esondazioni ed alluvioni, anche se queste ultime sono spesso correlate a problemi di natura più prettamente idraulica di si da conto nel punto successivo.

La principale causa di questi fenomeni è da imputare in primo luogo al generalizzato diboscamento a cui sono state sottoposte ampie zone pedemontane e collinari la cui morfologia determina la irrefrenata discesa a valle di imponenti masse d’acqua che trascinano con se i detriti superficiali , così come ogni manufatto umano, che trovino sul loro corso. Frane e smottamenti, spesso connessi ai naturali assetti e processi geomorfologici, sono anch’essi aggravati dal disboscamento che causa la caduta diretta della pioggia al suolo, senza interposizione della vegetazione  a dissipare la sua energia.

L’accentuazione e la concentrazione dei fenomeni meteorologici connessa con il cambiamento climatico indotto dal ben noto effetto serra e che sta interessando l’intero pianeta, è causa di ulteriore aggravamento ed intensificazione di tali dissesti.

Il rimboschimento, insieme alla sistemazione delle pendici attraverso terrazzamenti, abbinabili alla ripresa di determinate coltivazioni, potrebbe essere un valido rimedio all’attuale squlibrio.

PROBLEMI IDRAULICI

La pianura veneta, così come gran parte del paese, è caratterizzata da corsi d’acqua che hanno subito nel corso della storia una brutale opera di regimazione la quale ha sottratto lo spazio naturale di cui hanno bisogno, in particolare con riferimento alle loro portate di piena. Tali interventi, canalizzando gli alvei, riducendo la sezione di deflusso e, soprattutto, eliminando le vaste aree necessarie all’espansione delle acque in regime di piena, unite alla cronica carenza di manutenzione degli alvei e delle arginature, sono una concausa dell’insufficienza strutturale che i nostri corsi d’acqua mostrano. Ma la principale causa del fortissimo aumento delle alluvioni ed esondazioni che hanno colpito il nostro territorio negli ultimi trent’anni è da imputare alla sconsiderata impermeabilizzazione del suolo determinata da politiche di urbanizzazione selvaggia che ha visto uno smodato sviluppo di aree residenziali , industriali e commerciali che la totale mancanza di pianificazione territoriale ha favorito.

In tal modo la massa d’acqua che cade su un certo territorio viene assorbita dal terreno solo in minima parte (alterazione del coefficiente udometrico medio) per essere invece convogliata con grande impeto verso i ricettori finali, cioè i fiumi, che non sono più in grado di esitarla a valle.

Non è facile ora far fronte all’attuale squilibrio afflussi/deflussi in quanto in primo luogo servirebbe agire proprio sulla capacità di assorbimento dei soli, procedendo ad una vera e propria de-urbanizzazione. In secondo luogo, servirebbe restituire ai corso d’acqua il loro spazio naturale, allontanando gli argini maestri dal corso ordinario e trasformando in zone golenali di espansione delle piene le aree agricole limitrofe ai fiumi ancora esistenti.

L’INQUINAMENTO DELLE ACQUE

L’inquinamento delle acque determina gravi problemi agli ecosistemi: piante, fauna ittica e animali in genere, compreso l’uomo, possono subirne gravissime conseguenze, in particolare a causa dei processi di accumulo degli inquinanti nell’organismo.

La ricerca epidemiologica attesta in modo sempre più inequivocabile la diretta correlazione che esiste tra la presenza di fonti inquinanti e la diffusione di determinate patologie, in particolare neoplasie, malattie autoimmuni ed allergie più o meno gravi.

In merito all’inquinamento delle acque, una particolare riflessione andrebbe svolta circa la necessità di particolare tutela a cui dovrebbe essere sottoposta la fascia di ricarica delle falde acquifere confinate (quelle profonde dette artesiane) che si estende dalla gronda pedemontana alla linea delle risorgive e che in una regione come il Veneto è particolarmente estesa.  

Industriale

Dal punto di vista del degrado qualitativo, le fonti di inquinamento più impattanti sono quelle connesse all’uso industriale delle acque. Complice una normativa deficitaria, i sistemi di depurazione sono spesso inefficaci o insufficienti. Mancano i controlli e, a causa di una malintesa interpretazione del concetto di “in contraddittorio” cui la legge sottopone i controlli, quelli che vengono svolti, prevedono ampio preavviso alle ditte interessate da parte degli uffici dell’ARPAV dando così modo alle imprese poco serie di inquinare indisturbate.

Agricolo

Anche le acque impiegate in agricoltura sono soggette a forte inquinamento, principalmente legato al dilavamento dei terreni precedentemente fertilizzati con concimi chimici (in particolare azoto, fosforo e potassio) e/o trattati con pesticidi e diserbanti.

Purtroppo spesso le acque reflue dei campi vengono usate per abbeverare gli animali d’allevamento con possibili conseguenze nocive non solo per gli animali stessi ma anche per chi ne consuma le carni.

Le sostanze inquinanti presenti nelle acque reflue di origine agricola entrano quindi con grande facilità nella catena alimentare con ripercussioni sulla salute degli individui, in particolare quelli più vulnerabili come bambini ed anziani.

Civile

Anche gli usi civile delle acque, vale a dire l’uso igienico e quello potabile, sono soggetti ad inquinamento. Una delle problematiche più gravi connesse ad esso è relativo alla difficoltà di garantire un efficacie sistema di depurazione delle acque di scarico, a causa di impianti obsoleti, inefficienti o del tutto mancanti ed alla presenza ancora oggi molto diffusa di sistemi fognari misti, vale a dire dove vengono recapitate tanto le acque nere quanto quelle meteoriche, con la conseguenza che in caso di precipitazioni i depuratori vengono bypassati dai sistemi di troppo-pieno e le acque luride, seppur diluite, finiscono dei corsi d’acqua recettori.

LA SICCITÀ

La siccità, vale a dire la carenza d’acqua dolce dovuta alle scarse precipitazioni è un fenomeno fortunatamente poco nella nostra regione, ma allorquando si è verificato ha rivelato tutta la sua drammaticità. In caso di carenza di disponibilità, la priorità è ovviamente riservata all’uso umano, ma talvolta anche l’emungimento a fini acquedottistici può subire delle limitazioni con i conseguenti gravi inconvenienti che si possono immaginare.

La carenza d’acqua dolce ha come sua prima conseguenza gravi danni alla produzione agricola, ulteriormente compromessa, nelle zone prossime al mare, dalla risalita del cuneo salino che attraverso le foci dei fiumi può insinuarsi nell’entroterra per molti chilometri rendendo inutilizzabili le acque loro acque.

Nel mondo, il problema della siccità è direttamente correlato alla desertificazione di intere aree del pianeta, con conseguenze pesantissime sulle popolazioni locali che sono costrette ad esodi di massa. Anche in questo caso le origini del problema sono legate ai mutamenti climatici che dell’incontrollata attività umana, in particolare quella predatrice delle multinazionali, determina.

CONCLUSIONI

Alla luce di quanto precede, emerge in modo chiaro la necessità di cambiare rotta rispetto alla situazione attuale al fine di tutelare al meglio la qualità e la disponibilità dell’Acqua per tutti gli usi che abbiamo ricordato ma anche per prevenire i futuri annunciati disastri di cui l’Acqua stessa può essere causa.

IL CICLO NATURALE DELL’ACQUA

Perché ci possa realizzarsi, è indispensabile che gli impieghi che l’uomo fa della risorsa idrica siano compatibili con il ciclo naturale dell’Acqua, quello che la fa evaporare dagli oceani, precipitare al suolo e, attraverso le rete idrografica, ritornare al mare.

IL PIANO DELL’USO DELL’ACQUA

Poiché l’Acqua è una risorsa limitata seppur rinnovabile, è indispensabile farne un uso parsimonioso e limitato allo stretto indispensabile. Serve quindi innanzitutto, come per tutti gli altri elementi che abbiamo esaminato in questa Convention, la ponderata elaborazione di un “Piano dell’Uso dell’Acqua”, che nel rispetto della priorità degli usi umani (potabile ed agricolo-alimentare) possa stabilire un bilancio degli impieghi che garantisca l’equilibrio dell’intero sistema.

L’uso sostenibile

Abbiamo individuato come sostenibile un uso dell’Acqua pianificato nel rispetto del suo equilibrio ecologico, quello che ne garantisce la disponibilità per tutti gli esseri viventi. L’Acqua deve essere considerata innanzitutto una risorsa naturale del pianeta e, per gli uomini, un Bene Comune disponibile garantito a tutti in base ai propri bisogni e di cui nessuno ha diritto di appropriarsi.

Ovviamente, l’uso sostenibile dell’Acqua deve combatterne gli sprechi  (anche attraverso la manutenzione straordinaria degli impianti acquedottistici) e favorirne l’accumulo in periodi di abbondanza per garantirne la disponibilità in quelli di carenza.

Un altro fattore fondamentale ai fini del risparmio della risorsa è quello relativo ai diversi sistemi di irrigazione che si possono adottare: rispetto ai più dispendiosi sistemi a scorrimento e ad aspersione vi sono quelli più efficienti a goccia e per subirrigazione che consentono fortissime riduzioni del fabbisogno d’acqua. Anche la promozione di un’agricoltura intensiva anziché estensiva, biologica e a Km Zero consentirebbe un più razionale impiego tanto del suolo agricolo che dell’acqua necessaria ad irrigarlo. L’Agricoltura stessa deve cambiare passando dall’irrazionale e spesso assurda PAC (Politica Agricola Comunitaria) alla PAR (Politica Agricola Regionale) in grado di valorizzare al meglio le caratteristiche dei territori e delle culture contadine ancora esistenti.

L’uso insostenibile

Va respinto con forza, come è avvenuto con i referendum del 2010, ogni tentativo di trasformare l’Acqua in una merce sulla quale fare speculazione e profitto. Va bandito quindi ogni suo uso privatistico e garantita la sua natura pubblica. Gli interessi finanziari hanno puntato gli occhi da tempo sulla “Risorsa Acqua” nel tentativo di farne una bene economico da sfruttare, una merce come le altre su cui speculare senza scrupoli. Questo ha portato fino al vergogno provvedimento normativo già ricordato che prevede il “distacco” dell’acqua potabile anche nei casi di così detta morosità involontaria.

DIFESA DEL SUOLO E TUTELA IDROGEOLOGICA

Per completare il quadro dagli auspici, è necessario individuare quali siano i provvedimenti da adottare per prevenire i danni derivanti dal dissesto idrogeologico o dall’inadeguatezza idraulica della rete fluviale.

In primo luogo serve intervenire con tutti i sistemi che consentano di trattenere le acque di precipitazione già a partire dai boschi montani, dai piccoli invasi naturali nella zona montana e pedemontane adatti anche all’irrigazione di coltivazioni in terrazzamenti, anch’esse funzionali a rallentare e trattenere le precipitazioni. La restituzione ai fiumi, attraverso l’arretramento degli argini maestri, di fasce di espansione delle acque di piena, sarebbe invece il provvedimento più idoneo per intervenire in pianura al fine di prevenire esondazioni ed inondazioni. Il rialzo delle arginature che spesso viene adottato come “rimedio” al pericolo di tracimazione è un tipo di provvedimento poco efficacie e spesso controproducente favorendo la pensilizzazione degli alvei.

Ma, come già ricordato nei precedenti paragrafi, l’azione più importante da mettere in atto è la tutela del suolo agricolo e naturale con l’immediata cessazione della sua impermeabilizzazione, non sono evitando nuove urbanizzazioni e lottizzazioni ma anche riconvertendo ove possibile all’uso agricolo o a terreno naturale le sempre più numerose aree industriali ed artigianali dismesse.

 

Tutte le pur gravi problematiche evidenziate in questo breve documento sono tecnicamente risolvibili ma per far ciò servono delle politiche attente ed adeguate. Questo per dire che l’accumularsi dei grossi problemi che abbiamo sotto gli occhi è dovuto integralmente all’incapacità della politica di farsene carico anzi al suo sempre più evidente orientamento a favore di interessi speculativi di origine finanziaria. Una Politica dell’Acqua adeguata è invece quella che si pone a servizio del Bene della Collettività come individuato dai Cittadini attraverso la Partecipazione diretta alle decisioni.

Videoregistrazioni gruppo ACQUA

Da qui http://comitativeneto.altervista.org/forum/viewtopic.php?f=4&t=4 si può accedere direttamente alla registrazione di ogni singolo intervento

Mattino


Pomeriggio

Questo spazio è dedicato alla costruzione del documento conclusivo del gruppo ARIA, il verbale della discussione del 29/11 è all'inizio delpenna.gifforum di discussione ARIA


Relazione del Facilitatore dell'incontro del 29-11

Facilitatore: Paolo Lugnan

Dalla discussione è emersa una netta opposizione al Decreto "Sblocca Italia", relativamente all'incenerimento dei rifiuti si boccia questa politica in quanto contraddittoria a quella del riciclo, riuso e corretto utilizzo delle materie prime.

Si richiede uno sforzo, da parte dei Comitati, per spingere alla chiusura degli inceneritori attuali e impedire l'apertura di nuovi.

Parallelamente si richiede la revoca del Decreto Clini che autorizza la combustione di rifiuti nei cementifici. Si denuncia il fatto che oltre al pericolo della combustione di sostanze tossiche, o che tali diventano dopo il trattamento termico, al cemento così prodotto si aggiungono sostanze, in percentuali rilevanti, tossico-nocive (si fa l'esempio, peraltro quantificato, di copertoni oppure di fanghi contenti solfati o metalli pesanti). In questo senso va rigettata l'espressione di "opere di interesse strategico" che in verità giustifica qualsiasi abuso. Va, invece, data grande evidenza alle Valutazioni di Impatto Ambientale (da poco assoggettate ad un controllo del conflitto di interesse dei membri appartenenti alle Commissioni).

Grande importanza viene data all'informazione e formazione veicolate tramite la rete con blog social network.

Strumento per diffondere la conoscenza dei dati e dei reati ambientali (a questo proposito è stata manifestata l'esigenza di una eventuale copertura legale): la rete dei Comitati anche come utile "sirena di allarme", che evidenzi l'eventuale latitanza delle istituzioni preposte ad allertare le popolazioni nei casi di superamento delle "soglie di allarme" che metta in pericolo la salute umana (così come previsto dalla normativa comunitaria da noi recepita con il D.Lgs. 155 del 13.08.2010).

Si fa l'esempio del caso francese: quando a marzo 2014 la televisione ci proponeva l'immagine della Torre Eiffel, ovattata dalle polveri sottili e i cittadini della città di Parigi, opportunamente allertati, potevano fare uso gratuito di metro autobus e bike sharing, la situazione di buona parte del Veneto non godeva di una situazione troppo differente, limiti giornalieri più che raddoppiati, eppure neanche un accenno da parte della rete pubblica, e neanche dai Sindaci, che pure sono responsabili della salute pubblica.

Importante, anche se più di medio-lungo termine, l'aspetto educativo diretto alle giovani generazioni che, attraverso un piano ben strutturato di sensibilizzazione ai temi ambientali, si rifletta positivamente nei comportamenti dei genitori, correggendoli.

Si richiede la pubblicazione del nuovo Piano di Risanamento dell'Atmosfera (l'ultimo è del 2004), si stigmatizza che senza un rientro nei limiti almeno europei (quelli dell'O.M.S. che guardano oggettivamente alla salute umana senza condizionamenti politici sono molto più stretti) si deve vietare ogni autorizzazione a nuove emissioni, specialmente se si tratta di combustione di rifiuti o biomasse.

No anche alla combustione incontrollata dei residui vegetali in agricoltura. Anche operazioni banali come la bruciatura dei tralci di vite dopo la vendemmia, se le coltivazioni sono pesantemente trattate con prodotti chimici, può provocare l'immissione in atmosfera di sostanze tossiche che si sommano ai normali residui della combustione.

No all'uso incontrollato di pesticidi con particolare riferimento al glifosato.

No agli incentivi della Regione Veneto per caldaie a biomasse.

No alla costruzione di grandi centrali di produzione di energia specialmente se a biomasse.

Si ad incentivi miranti alla rottamazione di veicoli inquinanti sostituendoli con altri ibridi o a metano, con particolare riferimento ai mezzi del trasporto pubblico.

Si ad incentivi miranti alla sostituzione di caldaie inquinanti con sistemi di riscaldamento a basso impatto ambientale.

Si alla ristrutturazione e riqualificazione energetica degli edifici esistenti, con un maggior uso del solare termico e delle pompe di calore.

Si ritiene necessaria un'analisi quantitativa del danno sanitario provocato dall'inquinamento dell'aria. L'ultimo rapporto dell'Agenzia Europea per l'Ambiente, Air Quality 2014, stima in 64.000 le morti premature, in Italia, dovute alle sole polveri sottili (PM 10), a queste perdite sono da sommarsi i costi delle cure delle varie patologie connesse. In questo panorama si inseriscono le inquietanti prospettive di involuzione (sono previsti tagli per 6 miliardi nei prossimi due anni) del Sistema Sanitario Nazionale, che, una volta che siano eliminate storture e inefficienze nella sua struttura ( Es.: sale operatorie con numero di interventi specialistici insufficienti a garantire uno standard di qualità e sicurezza), rappresenta una conquista: quella del diritto alla salute per tutti i cittadini, sancito dalla nostra Costituzione.

Su questo diritto inalienabile deve fondarsi lo scontro con chi dopo averci negato l'aria pulita, vorrebbe che le conseguenze, derivanti da quest'atto, gravino sulle spalle del singolo colpito (fra l'altro aumentano le assicurazioni sanitarie integrative) e della collettività tutta.

Ultimo, ma non per importanza, il punto relativo alla rappresentanza politica nelle pubbliche amministrazioni. Su questa rappresentanza i Comitati dovrebbero costituire una forza di pressione che trovi giustificazione nelle esigenze di cambiamento e di tutela delle future generazioni da parte della popolazione amministrata. La creazione di vincoli che i candidati siano tenuti a rispettare per arrivare a comportamenti più coerenti col buon senso (rispettare alberi e zone verdi, ad esempio) e la legalità.

Videoregistrazioni gruppo ARIA

Si può accedere direttamente alla videoregistrazione lo intervento da qui:http://comitativeneto.altervista.org/forum/viewtopic.php?f=4&t=3

Mattino

Pomeriggio

Questo spazio è dedicato alla costruzione del documento conclusivo del gruppo ENERGIA, il verbale della discussione del 29/11 è all'inizio delpenna.gifforum di discussione ENERGIA


Relazione del Facilitatore dell'incontro del 29/11

facilitatore Paolo Cacciari verbalizzatore Michele Boato

Al gruppo di lavoro hanno partecipato 32 persone. Tutte sono intervenute almeno una volta, potendo presentare succintamente il proprio campo di attività e proponendo problemi e priorità da affrontare.

Il tema dell’energia è molto complesso e attraversa, per definizione, tutti i campi della vita sulla Terra. Per questa ragione è necessario trovare un giusto approccio globale e locale (assieme) al problema. E’ necessario cogliere le connessioni e le interdipendenze che legano i nostri stili di vita quotidiani e i megasistemi di sfruttamento delle risorse naturali.

Proponiamo di dedicare questa nostra giornata a tre precisi eventi:

  1. alla Marcia dei popoli per la giustizia climatica e contro il riscaldamento globale che si terrà a Lima nei prossimi giorni (4 dicembre) in occasione della ventesima Conferenza delle Parti (Cop 20) per la revisione del Protocollo di Kioto. Popoli indigeni, abitanti delle terre minacciate dalla sommersione dei mari, contadini impoveriti dalla desertificazione e dalla perdita di fertilità del suolo, profughi ambientali, alluvionati di tutte le parti del mondo sono da tempo in lotta per costringere i governi a ridurre drasticamente l’emissione di gas climalteranti. Nel dicembre del 2015 ci sarà un appuntamento decisivo (Cop 21) a Parigi. Una anticipazione è avvenuta nei giorni scorsi dall’incontro tra Obama e Xi Jinping;
  2. al ricordo dei quattro operai morti alla Co.Impo di Adria lo scorso settembre. Marco Berti, Giuseppe Baldan, Nicolò Bellato, Paolo Vallesella uccisi dalle esalazioni tossiche emanate dagli impianti di trattamento di rifiuti speciali. Nella speranza che l’inchiesta della magistratura sveli non solo le cause della tragedia, ma anche le ecomafie e la corruzione che si annidano lungo le filiere degli smaltimenti dei rifiuti;
  3. ai popoli che abitano le terre che sono dall’altro capo del filo elettrico e del tubo del gas di casa nostra, dove, cioè, si estrae l’energia fossile che ci è necessaria e che sono devastate dalle guerre per l’accaparramento delle risorse naturali (come in Iraq e in Libia) e da governi corrotti dalle multinazionali del petrolio (come il caso dell’Eni in Nigeria e in Kazakistan).

Un secondo concreto atteggiamento deve guidare le nostre azioni: la ricerca delle priorità dovute alle urgenze. Ne sono state individuate almeno quattro:

  1. il combinato disposto della possibile approvazione del nuovo Piano Regionale dei Rifiuti (in discussione in Consiglio Regionale) e del Disegno di legge delega al governo detto “Sblocca Italia” (già approvato dal Parlamento) comporta la liberalizzazione di fatto della “termo-combustione” di tutti i tipi di rifiuti in qualsiasi impianto (cementifici compresi);
  2. sempre lo Sblocca Italia consente le trivellazioni in ogni dove anche in Adriatico. Il Delta del Po e il sistema delle lagune venete sono già colpite dalla subsidenza e dal rischio sommersione dovuto all’eustatismo (vedi mappe dell’Enea);
  3. nonostante i referendum del giugno 2011 contro la privatizzazione dei servizi pubblici locali, il governo (con vari atti, tra cui art. 35 dello Sblocca Italia) spinge ancora alla ulteriore privatizzazione delle aziende ex municipalizzate – a partire da quelle energetiche che sono più appetibili dalle grandi aziende quotate in Borsa, come Hera - e alla loro definitiva entrata nella logica del mercato e della finanza;
  4. troppe famiglie si sono impoverite a causa della crisi economica e non ce la fanno più a pagare le bollette di luce, gas, acqua. Nelle stufe si brucia quel che si trova e non si tratta di un beneficio ambientale. Serve una nuova fiscalità (assistenza alle bollette, aiuti alla “morosità incolpevole”).

Per affrontare queste ed altre urgenze e per costringere le istituzioni pubbliche e i poteri economici ad avviare una organica conversione degli apparati produttivi, distributivi e di consumo volta alla sostenibilità energetica serve un forte coordinamento tra i comitati, le associazioni, i movimenti che si occupano di ambiente. L’auspicio unanime è che si riesca a “fare rete”, a condividere informazioni, competenze, esperienze. A mettere in comune i saperi esperti (scientifici, accademici, professionali) e i saperi diffusi, tradizionali sedimentati nelle comunità locali. Serve moltiplicare la forza di convinzione dei movimenti superando frammentazioni, diffidenze e gelosie. Serve moltiplicare le possibilità di condizionamento delle politiche sia locali, sia regionali, sia nazionali, sia internazionali. Quest’anno sarà decisivo per l’approvazione degli accordi di libero scambio commerciale transatlantici (tra Usa e Europa) TTPI. Questi accordi mirano a far saltare le già deboli clausole di salvaguardia sociali e ambientali sulle merci commercializzate.

La questione energetica nello specifico.

Il pianeta vive grazie all’energia che riceve dal sole (vedi relazione di Gianni Tamino). Se vogliamo ridurre gli impatti negativi delle attività umane sulla biosfera dobbiamo allinearci al funzionamento dei cicli naturali. Dobbiamo, cioè, imparare a ricavare l’energia che ci è necessaria dal Sole, non bruciando materia. La combustione comporta inevitabilmente distruzione irreversibile di “materie prime” limitare, sempre più rare e preziose. In più la combustione genera inquinanti e gas ad effetto serra provocando gravi e svariati danni alla salute degli esseri viventi.

“Decarbonizzare” l’economia, uscire dall’era dei combustibili fossili (senza cadere nella brace nucleare!) è possibile. Nonostante le resistenze della potentissima lobby planetaria del petrolio, le tecnologie dell’energia rinnovabile hanno fatto passi da gigante. Esperienze significative (vedi le Transition Town, Casa Clima, Smart City, i Tetti solari in cooperativa, ecc.) ci dimostrano che è possibile diminuire di molto i flussi di energia fossile impiegata nei cicli produttivi, di distribuzione e di consumo.

Ma l’impiego di avanzate tecnologie verdi da solo non basta. Spesso, la “green economy” è solo un modo per far aumentare i consumi, gli affari, i profitti, non per migliorare la sostenibilità ambientale. I casi sono ormai molti. Ad esempio, quando i biocombustibili sottraggono terra fertile alla produzione di cibo distruggono economie contadine di sussistenza, espellono popolazioni, fanno aumentare i prezzi dei prodotti alimentari. Quando la produzione di energie rinnovabili mette a rischio la vita dei corsi d’acqua o la bellezza di un paesaggio svalorizza l’ambiente. Quando i processi di recupero delle materie contenute nei rifiuti richiedono un eccesso di energia si produce comunque uno spreco.

Gli esempi potrebbero essere molti e ci dicono quindi che la conversione ecologica dell’economia richiede misurazioni e valutazioni rigorose dei cicli di vita delle merci e di ogni loro componente. E’ necessario compilare precisi bilanci energetici e di materia, calcolare la durevolezza (obsolescenza programmata) e la riciclabilità (prevista già nella progettazione) di ogni oggetto. La tracciabilità e la certificazione delle filiere è quindi essenziale per poter valutare preventivamente l’effettivo impatto ambientale (e sociale) di ogni prodotto che viene immesso nel mercato. Inutile dire che la logica del mercato mirata a a massimizzare il valore di scambio delle merci vendute e comprate va in direzione della produzione di oggetti usa e getta, della rottamazione accelerata, della esternalizzazione dei costi ambientali, della moda consumistica e così via.

Per riuscire a misurare gli impatti ambientali bisognerebbe avere a disposizione istituzioni scientifiche affidabili e autorevoli, cioè indipendenti e autonome dagli interessi economici. Agenzie pubbliche specializzate (in Veneto non esiste nemmeno una Agenzia energetica che abbia anche compiti di ESCO e di consulenza tecnica per gli enti locali e per le imprese. La stessa Arpav è costretta a ricavare i denari necessari al proprio funzionamento vendendo servizi a privati), reti di rilevazione dei dati ambientali e della salute pubblica (il Registro dei Tumori è inaccessibile per svolgere indagini epidemiologiche), centri di ricerca con strumenti efficienti (il Cnr è di fatto smantellato e le università sono abbandonate a loro stesse).

Per costruire una green society, oltre alle green and clear tecnologies, è necessartio mobilitare la prima energia intelligente che abbiamo a disposizione: quella umana. Se il Sole è l’energia che muove la Terra, il lavoro umano è l’energia intelligente che deve servire a migliorare la vita sulla Terra, la sua conservazione e la sua capacità rigenerativa.

Il primo compito dei comitati, delle associazioni, dei movimenti che si occupano di ambiente dovrebbe quindi essere quello della informazione e della formazione. In una parola, della educazione ambientale, della formazione di una coscienza ecologica attraverso campagne di sensibilizzazione, attivazione di vertenze territoriali e promozione di coerenti stili di vita. La Carta della Terra (Onu, 2002) è il testo più avanzato e utile da cui partire.

L’obiettivo finale deve essere quello di ristabilire una sovranità delle popolazioni delle comunità degli abitati sull’uso dei propri territori di riferimento: sovranità alimentare, sovranità energetica, sovranità urbanistica, sovranità democratica – in definitiva. L’idea generale è quella della individuazione e pianificazione dei bio-distretti, ovvero “eco-regioni” dimensionate su paramtri fisici (bacini idrogeografici, ettari di terre fertili a disposizione per la fornitura di prodotti alimentari, ettari di verde a disposizione per bilanciar le emissioni di CO2, ecc.) capaci di sostenere l’impronta ecologica degli agglomerati urbani.


Questioni aperte su cui attivare approfondimenti pratici e programmatici.

  • Divulgazione del V° rapporto dell’IPCC: “La causa dominante del riscaldamento osservato è costituita dalle attività umane”. Quest’anno sarà l’anno più caldo nelle medie mondiali da quando è iniziata la rilevazione delle temperature. Creare delle “Reti della conoscenza”.
  • Nuovi Piani regionali e locali di adattamento (articolazioni della Strategia Nazionale di Adattamento) per la mitigazione degli effetti serra sui territori (dissesto idrogeologico).
  • Il Piano Energetico Regionale (in fase di controdeduzioni alle osservazioni) prevede degli scenari al 2020 che sono già superati dagli ultimi accordi in sede di Commissione Europea che prevedono il taglio del 40% delle emissioni entro il 2030.
  • Piano Regionale dei rifiuti (urbani e speciali). Valorizzare le eccellenze del Veneto nella raccolta differenziata (Vedi relazione di Michele Boato).
  • Piani energetici comunali PAES (“Patto dei sindaci”).
  • Piano regionale di risanamento dell’aria (fermo al 2004) (polveri sottili inalabili).
  • Commissioni regionali di Valutazione degli impatti ambientali (e sanitari) del tutto inadeguate se non compromesse e conniventi con i “promotori” degli interventi.
  • Effetti della legge delega “Sblocca Italia” sul Veneto.
  • Creare delle “reti di energia popolari” (attraverso l’azionariato popolare) per installazione di sistemi di energia alternativi
  • Incentivare la piantumazione di alberi e la tutela di quelli che ci sono ancora
  • Avviare indagini epidemiologiche mirare a capire gli effetti di determinati inceneritori (Padova, Schio).

1 dicembre 2014

Videoregistrazioni gruppo ENERGIA

Si può accedere ai video dei singoli interventi da qui: [1]

Mattino


Pomeriggio

Questo spazio è dedicato alla costruzione del documento conclusivo del gruppo TERRA, il verbale della discussione del 29/11 è all'inizio del penna.gifforum di discussione dedicato


Terra Relazione del Facilitatore

Facilitatore: Carlo Costantini VAI ALLA RELAZIONE

Verbalizzatrice: Maria Rosa Vittadini

Videoregistrazioni gruppo TERRA

Carlo Costantini

http://youtu.be/nPoSaAgkcYY  - introduzione

Carla Bellenzier - AmicoAlbero Mestre Ve

http://youtu.be/nPoSaAgkcYY?t=3m27s

Carlo Giacomini - Ecoistituto del Veneto - Venezia Mestre

http://youtu.be/nPoSaAgkcYY?t=3m50s  Come per tutte le cose c’è un limite anche per la mobilità. E’ tempo di fissare coraggiosamente un limite alla crescita della mobilità. La crescita continua (o anche solo le previsioni, anche inattendibili, di crescita) portano ad una continua realizzazione di nuove infrastrutture, che è chiaramente insostenibile. Esempio per tutti: le previsioni di raddoppio del traffico aeroportuale di Tessera, che potrebbe andare avanti all’infinito.

Franco Zecchinato - El Tamiso - Aiab - Padova

http://youtu.be/nPoSaAgkcYY?t=7m11s  Il tema del cibo e dell’agricoltura è strutturalmente connesso al tema dell’urbanistica e del consumo di suolo. Oggi la situazione è così senza speranza che gli agricoltori sono ben contenti che la strada passi sui loro terreni così da avere un indennizzo sicuramente superiore al rendimento agricolo. Dunque la strada (come consumo di suolo agricolo) talvolta è avversata e talvolta vista con favore: a seconda del modello di agricoltura e delle sue prospettive. Consumo di suolo zero vuol dire impostare un nuovo modello di agricoltura e dare un uso ai terreni agricoli sottoutilizzati o abbandonati, soprattutto nelle aree intorno alle città.

Cristina Romieri gruppo Vegan - Venezia lido

http://youtu.be/nPoSaAgkcYY?t=9m22s  Nel problema del consumo di suolo occorre mettere in giusto rilievo il problema degli allevamenti intensivi. Senza voler entrare nel tema etico del trattamento degli animali e nel tema della salute occorre essere consapevoli (e trarre le dovute conseguenze) del problema globale del consumo di suolo dovuto alle coltivazioni dedicate al mangime degli animali e alla sottrazione di spazio per il cibo delle popolazioni locali, ad esempio in Amazzonia. In Veneto il problema si presenta soprattutto in relazione agli allevamenti intensivi di maiali e al consumo di energia, acqua e spazio che ne deriva. Consapevolezza significa riprendere il governo delle proprie condizioni di vita attraverso la scelta del cibo e la conoscenza degli effetti della sua produzione sull’ambiente e sul territorio della vita quotidiana.

Renato Busatta - Paesaggio Veneto - Padova

http://youtu.be/nPoSaAgkcYY?t=11m59s  Per il contrasto al consumo di suolo propone una strategia di uso del territorio. La mobilità è strettamente connessa al consumo di suolo. L’urbanizzazione dispersa implica necessariamente l’uso dell’auto per tutte le funzioni della vita quotidiana. Il trasporto pubblico è in crisi da molto tempo e le innovazioni, come il Servizio ferroviario regionale stentano a decollare. La proposta è finalizzata a contenere il consumo di suolo attraverso la riqualificazione dei centri urbani, ovvero la concentrazione di attività e servizi nei nodi della rete su ferro. Riqualificazione significa ri-pensare le stazioni e le loro aree, da arricchire di servizi attraverso una maggiore densità urbanistica e anche, seppure non prioritariamente, nuova residenza.

Tiziano Rizzato - Coordinamento Tutela Territorio Breganze (Vi)

http://youtu.be/nPoSaAgkcYY?t=14m26s  con precisazioni di Luisa Calimani. La nostra associazione nasce nell'ostacolare un grande insediamento industriale di tipo logistico, e ha continuato, sempre attraverso raccolta firme, ad impedire lo spostamento dell'ipab locale un una struttura ospedaliera da costruire ex novo in area agricola.  Breganze è un piccolo comune (8.700 abitanti, 2.200 ha, 400 ab/ha). L’economia è basata su produzioni doc, ma anche su produzioni industriali (come la Laverda). C’è molta incertezza sulle prospettive per il futuro. L’urbanizzazione diffusa e il consumo di suolo sono cresciuti enormemente arrivando al 30% della superficie comunale, molto più di quanto siano cresciuti nella media dei comuni veneti, tra i più alti tassi di crescita nazionali. Il Piano casa sta complicando la situazione. L’autostrada Pedemontana Veneta sottrae una ulteriore significativa quantità di territorio comunale senza enumerare le varie problematiche progettuali. Mentre i problemi crescono e si aggravano l’Amministrazione pur tentando di cambiare rotta, eletti con fiducia di un cambiamento, tende ancora a ragionare in termini di gettito fiscale sugli edifici e di perequazione. Ci sono circa 250 case sfitte su 3.800 unità abitative, che data la dimensione del comune sono moltissime, e le previste casse di espansione del fiume (bacini di laminazione) si tradurranno in realtà nel raddoppio delle superfici a cava. Il PAT prevedeva un improbabile crescita della popolazione fino a 11.500 abitanti. Oggi Breganze sta redigendo il suo secondo Piano degli Interventi: le aree di espansione dimensionate su questa crescita che di fatto non c’è, possono tornare agricole se nessun piano attuativo è stato avviato? (chiede aiuto tecnico da parte di Luisa Calimani). C'è bisogno di un indirizzo legislativo sulla legge regionale urbanistica e di uno stop al consumo di suolo.

Ilario Simonaggio CGIL FILT Mestre

http://youtu.be/nPoSaAgkcYY?t=26m2s  

Punto 1. Attendiamo con ansia la decisione dell’Unione Europea sull’art. 5 dello Sblocca Italia che apre la strada ad un allungamento generalizzato delle concessioni autostradali in cambio di nuove opere, senza gara. Pare che Junker, anche per la sua difficile situazione personale, sia orientato a consentire questa misura, fortemente contraddittoria con la politica comunitaria che ha sempre affermato la necessità di gare. Magari accompagnando il consenso con qualche condizionamento sui tempi di allungamento o sull’affidamento dei lavori. L’ipotesi di fusione delle concessionarie allineando i tempi di concessione alla scadenza più lunga, ventilata da Serracchiani e Zaia, non sembra avere reali possibilità. Le nuove opere per l’allungamento delle concessione sono ovviamente scelte dal concessionario, con buona pace del Governo Renzi che accredita come conquista delle politica (elettorale) il fatto che al gennaio 2015 non ci saranno aumenti dei pedaggi autostradali. In realtà si tratta di una decisione opportunistica delle concessionarie in vista della decisione della UE.

Punto 2. Il Sindacato si batte per affermare la strategia del “saturare l’esistente” ovvero costruire solo quello che serve, dopo aver pienamente utilizzato quello che c’è. Dal punto di vista del consumo di suolo il problema è che i terreni vergini non costano niente. Ad esempio non c’è alcun bisogno di nuovi interporti essendo quelli esistenti più che sufficienti. Ciononostante se ne propongono in continuazione di nuovi, con l’unico evidente scopo di tira fuori denaro da terreni improduttivi. Usare l’esistente riguarda anche gli aeroporti. Per l’Aeroporto di Venezia si tratterebbe di “prendere” il Catullo di Verona e di abbandonare la prospettiva di Tessera City. Il Catullo ha perso una quota consistente di domanda e attualmente almeno 500 lavoratori rischiano di perdere il posto di lavoro. L’assorbimento del Catullo renderebbe inutile qualsiasi ampliamento aeroportuale di Venezia, cosa positiva anche considerando che le aree per l’ampliamento di Tessera sono a rischio idraulico, salverebbe posti di lavoro e risparmierebbe suolo. Solo dopo il completo utilizzo si porrebbe il problema di nuove piste. Analoghi ragionamenti dovrebbero essere fatti per Montichiari: aeroporto bello, nuovo e non utilizzato.

Punto 3. Si è detto della Delibera di Zaia per il blocco della Treviso-Mare stante la presenza degli stessi inquisiti nella vicenda Mose. La delibera è rapidamente rientrata con l’affidamento delle deleghe per le infrastrutture e i trasporti a Isi Coppola e alla Donazzan con mandato di andare avanti rapidamente. Ma i Sindaci si oppongono alla strada a pagamento. Altra vicenda riguarda la Valdastico. Nel tratto sud già realizzato l’autostrada ha un traffico modestissimo, tuttavia la Concessionaria spinge molto per la realizzazione del tratto nord sostenendo che solo il collegamento fino a Trento raccoglierebbe i livelli di traffico posti a base della realizzazione dell’autostrada. La Provincia di Trento ha rinnovato anche recentemente la sua opposizione all’autostrada. Dal momento che l’assenso di Trento è costituzionalmente necessario la Regione Veneto ha avanzato l’ipotesi di attestare l’autostrada a Caldonazzo. L’evidente assurdità di tale ipotesi si spiega soltanto con l’urgenza della concessionaria di ottenere il prolungamento della concessione, prossima alla scadenza. Per un minimo di correttezza nella progettazione e realizzazione delle infrastrutture, allo stato attuale palesemente assente, la FILT CGIL propone una legge per cui tutte le opere che comportano l’utilizzo di risorse pubbliche debbano essere accompagnate da una analisi costi-benefici condotta da un soggetto terzo.

Il file sulla situazione delle strade e autostrade del veneto,aggiornato all’ottobre 2014, si trova sul sito http://www.filt.veneto.cgil.it/sites/default/files/2014%2011%204%20FILT_Viabilit%C3%A0OpereRegVeneto_0.pdf

Roberto Marinello Comitato Difesa alberi e territorio di Padova

http://youtu.be/nPoSaAgkcYY?t=38m31  Sul sito del Centro meteorologico di Teolo dell’ARPAV si descrive molto efficacemente la formazione del nucleo monsonico che deriva, per Padova, anche dalla deprivazione del verde. Qui si sono abbattuti alberi secolari per ricavare parcheggi, per fare rotonde, senza alcuna considerazione per il ruolo e l’importanza degli alberi. L’associazione si scontra in continuazione con Amministrazioni comunali che vogliono abbattere alberi per via della mancanza di risorse per la manutenzione oppure anche, spesso, per motivi poco dicibili. L’abbattimento avviene sulla base di perizie tecniche affrettate e superficiali. Tuttavia è problematico presentare contro-perizie, sia per problemi di costo (250 euro/cad) sia per problemi di tempo (gli associati hanno altri impegni di lavoro). L’associazione ha elaborato una proposta di legge di iniziativa popolare per assicurare che gli alberi a carattere “storico” siano oggetto di una manutenzione particolare e che per poterli abbattere occorrano perizie approfondite basate non solo sull’aspetto esteriore, ma sulle condizioni strutturali dell’albero. Questo provvedimento scoraggerebbe la propensione agli abbattimenti e potrebbe dare forza alla opposizione a queste pratiche dal momento che un abbattimento illegittimo diverrebbe reato penale.

Daniela Muraro Cittadini/e di Montecchio Maggiore contrari alla Pedemontana

http://youtu.be/nPoSaAgkcYY?t=44m9s   L’impatto della Pedemontana sulla Val d’Agno è grandissimo. L’autostrada corre sul fondovalle e in 22 km prevede 4 caselli: una presenza devastante in una valle già pesantemente cementificata e stretta. Il percorso autostradale è in realtà una gimcana. Per la realizzazione dell’autostrada all’imbocco della galleria ………sono state cementificate le risorgive, in assenza della Valsat, che è arrivata molto dopo. Per tre volte la Pedemontana passa sotto la strada provinciale di fondovalle a -25 metri con gallerie artificiali perpendicolari allo scorrimento delle falda, che corre a -5/6 m dal piano campagna. La situazione è molto conflittuale ed è difficile anche solo sapere le cose: oggi una delegazione di Grillini ha chiesto di visitare il cantiere, ma il Commissario Vernizzi lo ha vietato.

Raffaele Tortato ass. seminati Marcon

http://youtu.be/nPoSaAgkcYY?t=48m4s Nel porre l’accento sui danni gravi provocati da strade, autostrade e capannoni si rischia di non prestare sufficiente attenzione al problema della alimentazione. La consapevolezza di ciò che si mangia è fondamentale per determinare le politiche per il territorio. Non solo a proposito della sottrazione di suolo agricolo, ma anche in relazione a nuovi rischi, come quello della introduzione di OGM: rischio che si profila a breve. L’associazione propone la valorizzazione delle produzioni biologiche locali e presidi contro l’introduzione di OGM. Il rischio per la salute di tali produzioni andrebbe a cumularsi con i rischi per la salute che già ora derivano dall’uso di pesticidi e di fertilizzanti chimici. Per fermare il consumo di suolo è indispensabile stabilire come deve essere utilizzata la terra che rimane, aiutando i contadini, che ormai considerano la terra un peso di cui disfarsi, a trovare utilizzazioni profittevoli, attraverso un impulso forte alla coltivazione biologica e il sostegno di consumatori attenti a ciò che mangiano (dunque alla loro salute) e al rapporto tra cibo e buona salute del territorio in cui vivono.

Gianluigi Salvador Movimento decrescita felice

http://youtu.be/nPoSaAgkcYY?t=53m25s  Occorre partire dai bisogni e non dai mezzi per soddisfarli. Le infrastrutture sono mezzi: dobbiamo capire dove vogliamo andare e poi trovare il modo di andarci. Occorre cambiare lo stile della politica: ai politici occorre domandare, prima di eleggerli, non solo cosa intendono fare, ma anche la loro posizione, le loro attività, i loro guadagni e le fonti da cui li traggono, così da prevenire i conflitti di interessi. Oggi l’agricoltura rappresenta circa il 3% della occupazione e del PIL: occorre capovolgere questa struttura economica e sociale per tendere all’economia stazionaria. Per l’agricoltura il centro del problema è la devastazione prodotta dalle 150mila tonnellate di veleni chimici, che si traducono in altrettanti danni alla salute delle persone. Mangiare sano ha un immediato effetto in termini di salute e di risparmio di spesa pubblica. Oggi la PAC non aiuta i piccoli agricoltori, anzi li danneggia con misure che favoriscono i grandi produttori con metodi tradizionali. Occorrerebbe invece una politica di sostegno per le produzioni biologiche. E occorrerebbe anche modificare il regolamento regionale per l’uso dei pesticidi. Secondo tale regolamento il coltivatore di un vigneto o di un frutteto può diffondere pesticidi anche in prossimità di abitazioni. Per la salute di chi ci abita c’è solo l’invito a tener chiuse le finestre: il danno alla salute è grandissimo. Occorre introdurre regolamenti agricoli per vietare l’uso dei pesticidi e sostenere l’agricoltura biologica: se si fanno i conti, i costi esternalizzati dell’agricoltura basata sulla chimica sono enormemente più alti dei profitti. Tali costi esternalizzati dovrebbero essere dimostrati e quantificati fissando l’obbligo di redazione di un periodico Rapporto epidemiologico per ciascuna area, basato sui dati che già ora sono disponibili.

Elena Macellari wwf Colli Euganei

http://youtu.be/nPoSaAgkcYY?t=59m21s  La tutela e la salvaguardia del verde devono essere consolidati in tutto il territorio urbano ed extraurbano sia come strumento di freno al consumo di suolo sia come componente strutturale del buon funzionamento del territorio. In particolare le strategie di rigenerazione urbana dovrebbero assumere come elemento centrale la presenza e la continuità della rete delle alberature e degli spazi verdi. Le previsioni e l’uso del verde sono sempre presenti nelle dichiarazioni dei piani urbanistici, ma di rado si traducono nella realtà delle cose. I Regolamenti del verde che sono strumenti settoriali specificamente mirati alla gestione degli alberi delle aree verdi, dovrebbero fissare le norme sull’impianto e la manutenzione degli alberi nei parchi urbani e nelle alberature stradali, sugli orti sociali e così via. Oggi molti comuni hanno Regolamenti del verde, che tuttavia sono volontari e eterogenei come contenuti e come valore prescrittivo. L’adozione di un Regolamento del verde dovrebbero invece divenire obbligatoria e il suo contenuto dovrebbe avere valore cogente. La recente Legge 10/2013 sul verde urbano rappresenta in realtà una occasione mancata: perché non fissa regole cogenti e perché il Comitato per lo sviluppo del verde pubblico, che dovrebbe promuovere la formazione degli spazi verdi e monitorare l’attuazione della legge, in realtà non ha mezzi e non decide nulla.

Daniela Teolato - Padova

http://youtu.be/ZelEpAdkVlI  Denuncia il malcostume di molte amministrazioni locali che rendono edificabili aree agricole anche all’insaputa dei loro legittimi proprietari. Il meccanismo funziona in questo modo: il costruttore-speculatore acquista a bassissimo prezzo un’area agricola, spesso neppure servita da strade. Il comune (complice) dopo l’acquisto la rende edificabile e comprende nel perimetro dell’area edificabile anche aree appartenenti a piccoli proprietari. Lungi dall’essere un vantaggio per il piccolo proprietario questa inclusione comporta l’obbligo di pagare l’ICI sull’area fabbricabile e, per edificare, l’obbligo di entrare a far parte di un consorzio nel quale comunque non ha alcun potere decisionale. Inoltre le banche non fanno credito alle condizioni possibili per il piccolo proprietario qualora volesse investire sul proprio lotto. In tal modo l’area fabbricabile invece di essere elemento di ricchezza diviene fonte di debito e alla fine, per disperazione, il piccolo proprietario vende al costruttore-speculatore, che costruisce e per di più spesso riesce a non pagare l’ICI semplicemente evitando di completare le finiture degli edifici.

Vincenzo Benciolini Azienda agricola

http://youtu.be/ZelEpAdkVlI?t=3m17s   E’ proprietario di una azienda agricola di di 50 ha che potrebbe costituire una occasione interessante per nuove logiche di produzione per giovani. Nella pienezza del suo sviluppo l’azienda occupava 52 persone. Poi le condizioni della famiglia sono cambiate, i fratelli hanno preso strade diverse e comunque sono invecchiati. Ora l’azienda è data in affitto. Invece potrebbe/dovrebbe essere lavorata da molte persone e potrebbe produrre cibo sia per le persone che la lavorano sia per una più ampia collettività. La formula potrebbe essere simile quella degli orti collettivi, anche se in campagna questa prospettiva è meno interessante perché più o meno tutti hanno un proprio orto. La motivazione del progetto potrebbe invece essere la produzione di servizi condivisi attivati e goduti direttamente dalla comunità locale. Il modello di riferimento è quello delle “Città in transizione” nelle quali la comunità si auto-organizza per riprendere la propria autonomia e il controllo della propria vita. Si tratta di una prospettiva che anche nella attuale crisi conserva tutta la sua validità: l’importate è creare relazioni e comunità vitali nelle quali lavorare insieme e risolvere insieme, attraverso le attività delle persone, i problemi comuni.

Cristiano Gasparetto - Italia Nostra, no grandi navi, ambiente venezia

http://youtu.be/ZelEpAdkVlI?t=8m16s  E membro attivo delle tre diversissime associazioni sopraddette. Ma non c’è contraddizione, nel senso che la differenza è ricchezza ma è ben chiara la sensibilità politica che le lega. Propone un excursus storico: a) la rivoluzione industriale del dopoguerra porta alla produzione di grandi quantità di beni. Il conflitto riguarda i rapporti tra capitale e lavoro ma non la qualità delle trasformazioni; b) oggi quello sviluppo non è più possibile, cambia la natura dei profitti (finanziarizzazione) e cambia il contesto della produzione (globalizzaziione); c) le grandi opere di oggi, indifferenti per loro natura al territorio in cui si collocano, sono il modo di creare profitto nella nuova situazione (project financing) Per contrastare la deriva di distruzione sociale ed ambientale portata da queste condizioni occorre tornare alla dimensione del “piccolo” e ai saperi locali attraverso una strategia comune basata sul riconoscimento delle risorse fisiche e sociali e sui saperi del territorio. Solo mantenendo le nostre differenze possiamo pensare di governare noi le trasformazioni del nostro territorio. Ovviamente la politica è importante: dobbiamo scegliere i nostri futuri politici attraverso ben definite e condivise regole di trasparenza, di capacità, di onestà. Per selezionare politici diversissimi da quelli che abbiamo visto fin qui, capaci di ascoltare e di decidere insieme ai cittadini.

Daniele Todesco - Valpolicella

http://youtu.be/ZelEpAdkVlI?t=17m39s  La situazione di incertezza sul futuro è simile a quella di Breganze. Dal punto di vista economico le aree della valpolicella continuano ad esser vocate alla viticoltura, ma è enormente cambiato il modello produttivo e finanziario. La finanziarizzazione è ormai molto avanzata, sono entrati capitali esteri, si sono prodotte grandi fortune in poco tempo. Interessi economici di grandi dimensione, anche contraddittori, convivono sullo stesso territorio: ad esempio i cementifici fanno apparentemente pace con i vigneti bruciando gli stralci delle vigne. Occorre intensificare le analisi e gli sforzi per capire gli aspetti finanziari ed economici delle trasformazioni, che sono oggi determinanti. Tanto che il Veneto non è più fondato sul lavoro ma sulla finanziarizzazione. Qualche approfondimento in questa direzione è stato fatto, ad esempio l’importante lavoro fatto dal Gruppo contro il traforo di Verona. Ma occorre andare avanti e soprattutto coordinare analisi ed esperienze tra i vari gruppi, ad esempio introducendo gemellaggi tra comitati diversi per facilitare il coordinamento e lo scambio delle analisi e degli approfondimenti. Inoltre occorre migliorare molto la nostra capacità di comunicare: occorrono narrazioni e narratori (dopo Paolini il Vajont è tornato ad essere presente nono solo nella memoria ma nella discussione sulle cose). E occorre esserci nei luoghi giusti al momento giusto: ad esempio prima di Expo ci sarà a Verona Vinitaly: una buona occasione per mettere in contraddizione anche le economie.

Roberto Maggetto - opzione zero

http://youtu.be/ZelEpAdkVlI?t=25m30s  Propone un utilizzo sistematico delle stazioni ferroviarie per farne centri di relazioni, lavoro e servizi. Molte stazioni sono oggi abbandonate, ma in quelle dove i treni fermano è sicuramente pensabile introdurre luoghi che siano insieme socializzazione e servizio alle bici (manutenzione, ricovero, noleggio, ecc.) e anche altri servizi di risposta ai bisogni primari della collettività. La mappatura delle stazioni del triveneto darebbe la dimensione della rete possibile e dell’insieme di servizi che sarebbe possibile mettere in rete. Occorre pero che le stazioni vengano affidate a soggetti disponibili a farne l’uso proposto, Cosa che non è affatto garantita dai criteri con i quali oggi RFI affida le stazioni abbandonate a soggetti che le usano esclusivamente a proprio uso.


Lorenza Annoni - assopace Padova

http://youtu.be/ZelEpAdkVlI?t=30m59s  Rifiuta un atteggiamento antropocentrico. I diritti e la pace riguardano i bisogni di sopravvivenza così dell’uomo come della natura : occorre coesistere in pace. Nelle città assistiamo oggi alla drammatica contrapposizione tra persone diverse. Cosa fare per evitare quartieri ghetto e la vecchia pratica del capro espiatorio? (come a Roma). A livello globale e internazionale oggi la situazione dei diritti si colloca ad un livello penoso. Oltre allo spreco di risorse naturali dobbiamo registrare immensi sperperi da corruzione e da evasione. Anche le spese militari devono essere conteggiate nello sperpero.

Giuliano Carturan salviamo il paesaggio Treviso

http://youtu.be/ZelEpAdkVlI?t=34m59s Salviamo il paesaggio è formata da molte associazioni puntuali, la sua azione cerca di connetterle per far emergere i problemi comuni e proporre delle alternative. Ad esempio quando hanno affrontato prima con una fase di animazione e poi con una fase progettuale il tema “dall’Ikea a un altro paesaggio” ci sono stati risultati evidenti: gli enti locali hanno cambiato atteggiamento e gestione del problema. Il comune di Treviso dovrebbe fare da capofila nella formazione di un parco intercomunale. Altre esperienze interessanti riguardano i contratti di fiume, capaci di coinvolgere contemporaneamente popolazione, comitati e Amministrazioni. Occorre prendere atto che solo attraverso l’elaborazione di un progetto alternativo si ottiene qualche riusultato. Dovremmo impegnarci ad affrontare alcuni temi come ad esempio la politica del paesaggio e le leggi della Regione toscana e della Regione Puglia a confronto con le politiche e le norme dalla regione Veneto. E dovremmo intervenire nella formazione della nuova pessima legge sui parchi.

Alberto Sartori Comitato A + BC / Salviamo il paesaggio - Bassa VR

http://youtu.be/ZelEpAdkVlI?t=41m8s  Occorre che sviluppiamo un pensiero politico capace di condizionare il governo della regione anche rafforzando una rete dei comitati autonoma e indipendente. Oggi non c’è più margine per essere soft: il consumo di suolo agricolo deve essere davvero 0, occorre contrastare la PAC come rendita basata sulla superficie che possiedi e non su tipo di produzione che fai. Se si affronta il problema dal lato del cibo e dell’agricoltura diventa più facile comprendere il consumo di suolo e le sue cause. Occorre far arrivare questi messaggi al cittadino comune e generare conoscenza sugli effetti devastanti delle politiche attuali.

Marina Salvato Ass.ne Decrescita - nodo nordest, Coltivar condividendo

http://youtu.be/ZelEpAdkVlI?t=45m39s Quando gli agricoltori realizzano produzioni biologiche l’effetto sociale è molto diverso quando tutta la produzione è consegnata al mercato urbano oppure quando si formano GAS che instaurano un diverso rapporto con il produttore. Oggi i GAS stanno evolvendo e tendono a rendersi responsabili del loro territorio. Si formano GANT ovvero gruppi di acquisto di terreno dove ognuno paga una parte sia dell’investimento sia del lavoro dei giovani che lo coltivano e ne gode i prodotti: una forma di agricoltura relazionale. Inoltre dovremmo attivarci contro lo spreco non solo della terra ma anche dei frutti lasciati marcire sugli alberi: ci sarebbe tanto da fare.

Gian Franco Milanesi- libero pensatore

http://youtu.be/ZelEpAdkVlI?t=49m53s  Si definisce libero pensatore e pone il problema di sapere dove va a finire tutto il lavoro che stanno facendo gruppi e comitati. Richiama alla necessità di una maggiore concretezza e tempestività: occorre prendere i problemi per tempo e proporre alternative in tempo utile, perché protestare quando le cose sono in corso di realizzazione non riesce a fermare nulla. Occorre poi considerare che il governo del territorio è in mano principalmente ai sindaci e questo è un grave problema perché i sindaci non hanno le risorse necessarie e spesso neppure la consapevolezza dei problemi. L’agricoltura è oggi terreno di conquista e colonizzazione: la val Belluna è aggredita da coltivazione di vigneti con largo uso di pesticidi e da coltivazioni di mele del trentino con i relativi trattamenti. Ma il territorio finisce e per le produzioni locali non resterà nulla.

Riccardo Motta - rete solidale camisanese

http://youtu.be/ZelEpAdkVlI?t=55m3s  Propone di sostenere il restauro dei luoghi pubblici in stato di abbandono, anche aiutando i privati ad intervenire. Cita il caso della costruzione di un edificio destinato a centro di attività sociali degli Alpini costruito accanto ad una villa seicentesca in stato di completo abbandono. Non sarebbe stato meglio per gli alpini e per la società tutta collocare il centro nella villa, conservandola e restaurandola? Propone azioni di sensibilizzazione per la tutela del patrimonio culturale e architettonico e anche corsi di educazione ambientale, ad esempio per la raccolta differenziata e lo smistamento dei rifiuti.

Spartaco Vitiello

http://youtu.be/ZelEpAdkVlI?t=57m38s  Oggi criteri di economicità e di profitto stanno alla base di ogni decisione: sta qui la radice dei problemi. Ma per superare questa radicatissima tendenza occorrono metodi di decisione collettiva del tutto alternativi. Metodi che consentano azioni e decisioni non solo sulla piccola scala, ma anche la collaborazione e il coordinamento per arrivare a decisioni comuni su problemi di grande scala. Occorre lavorare insieme in modo sinergico e formare una rete che consenta di essere costantemente in contatto. Gli strumenti ci sono (il sito e le mailing list) ma occorre un salto qualitativo per far funzionare il sito in modo dinamico, cosa che richiede uno sforzo collettivo di collaborazione nell’uso di questi mezzi.

Roberto Scarpa- LIPU

http://youtu.be/ZelEpAdkVlI?t=1h4m49s  Contrastare il consumo di suolo agricolo va benissimo ed è un elemento essenziale delle politiche di tutela della biodiversità Tuttavia bisogna tener ben presente che il territorio aperto non è affatto indifferenziato, ma anzi è caratterizzato da diversi gradi di naturalità di cui occorre conoscere il valore ambientale per commisurare a tale valore gli strumenti di tutela e conservazione. I valori di naturalità dovrebbero essere tutelati per loro stessi, anche senza passare attraverso i piani urbanistici come il PTRC o i PRG. Questo consentirebbe norme più certe, dal momento che non dovrebbero scontare l’interpretazione delle norme di piano. Anche l’agricoltura talvolta si traduce in impoverimento della biodiversità, cosa che dipende ovviamente dal modello di produzione agricola. Le politiche di sovvenzione all’agricoltura dovrebbero farsi sistematicamente carico di garantire la tutela della biodiversità.

Carlo Costantini (facilitatore)

http://youtu.be/ZelEpAdkVlI?t=1h9m33s

Mariarosa Vittadini

http://youtu.be/ZelEpAdkVlI?t=1h25m33s

Luisa Calimani

http://youtu.be/ZelEpAdkVlI?t=1h29m11s

Cristina Romieri

http://youtu.be/ZelEpAdkVlI?t=1h31m59s 

Franco Zecchinato

http://youtu.be/ZelEpAdkVlI?t=1h34m09s